giovedì 18 settembre 2014

Quelle stelle da vietare ai minori


Il film Colpa delle stelle (molto più bello, ancorché impraticabile, il titolo originale, "Il guasto delle nostre stelle": lo stesso del romanzo di John Green) dimostra che la morte naturale è anch'essa violenta quando avvenga per malattia.
E morte violenta significa che è colpa altrui e che dunque non c'è decesso per cause naturali perché la natura può essere mortifera. Nel film di Josh Boone, come nel libro, la malattia è imputata alle stelle, dunque al destino, così gettando l'umanità nel mondo alla mercé del cielo, secondo la visione di Heidegger e prima ancora di Eschilo, se è vero che gli dei governano il fato. In questo modo il male è sottratto alla responsabilità dell'uomo e il "mal di vivere" di decadentistica foggia diventa una condizione da accettare perché naturale e non una momentanea malattia dell'io. Solo entro questo schema è tollerabile la morte che colga dei ragazzi per una malattia mortale, altrimenti insopportabile: se è colpa delle stelle, siamo innocenti in questo mondo sicché una madre può dire alla figlia morente "Lasciati andare, amore". 
Solo perché è così Hazel Lancaster, malata terminale di cancro, può gridare di gioia "Ma cos'è questa vita?" al ricevimento inatteso di un'email del suo scrittore d'elezione del quale ama il romanzo sul cancro intitolato "Un'affezione imperiale": inneggia alla vita pur sapendo di stare per perderla, perché come prendono così le stelle dànno. E allora il cameriere olandese può dire ad Hazel e Gus, ospiti in un ristorante di Amsterdam a spese dello scrittore: "Abbiamo imbottigliato tutte le stelle per voi stasera". 
Hazel ha voluto a tutti i costi volare dall'America ad Amsterdam per rivolgere allo scrittore Peter Von Houstin alcune domande sul seguito del suo romanzo e quando lo scrittore le dice che non c'è un seguito quando un romanzo finisce, lei gli ingiunge di inventarlo perché non può rinunciare all'idea che tutto finisca, come finirà presto la sua vita. Vuole credere che le cose continuino e che se il suo romanzo ha un seguito, anche la sua vita può averne un altro, ma deve andare via delusa e cosciente che la fine di un romanzo è sinonimo di morte.
Hazel, come poi anche Gus, crede nel potere della letteratura e nella sua capacità di influire sulle stelle, quindi sul destino, perché può cambiare l'ineluttabilità del mondo, fermarne l'entropia, ma deve arrendersi di fronte anche alla perenzione dello scrittore amato, divenuto cinico e crudele, soprattutto inefficace. Hazel spera in cuor suo che il viaggio ad Amsterdam sortisca l'effetto di un viaggio miracoloso di guarigione ma deve accettare che la vita è quella che si vede e si vive, non quella che si legge e immagina. Come dice lei stessa a Gus, sostituendolo nel ruolo dell'ottimista: "La vita è questa che hai ed è quello che possiedi ora". Il film precipita poi verso un epilogo che costringe lo spettatore a credere anch'egli che la vita è scritta nelle stelle e che il mondo, come dice Gus, non è una fabbrica per esaudire desideri.
Colpa delle stelle rilancia un filone, quello della sick-lit, della narrazione della malattia, che non è nuovo né al cinema né alla letteratura. Da Love story ad Autumn in New York a I passi dell'amore, da La dama dalle camelie a La montagna incantata, da La Traviata a La Bohème, il tema della morte per malattia ha tantalizzato gli ultimi due secoli arrivando fino a noi con due gravami in più: la malattia condivisa e non più partecipe, dove destinati alla morte sono entrambi gli innamorati e non uno solo: motivo anticipato da Bufalino in Diceria dell'untore; e l'inedito interesse del pubblico più giovane, al quale l'idea della morte è stata fino a ieri del tutto estranea. 
Ma dopo Braccialetti rossi e ora Colpa delle stelle, vediamo che i ragazzi hanno scoperto la morte e la stanno studiando da vicino. Forse intendendo familiarizzare con essa. Non è una buona notizia. E' piuttosto un segno di fragilità di questa generazione giovane, di instabilità rispetto alla vita, un terreno di coltura del suicidio sul quale i ragazzi si sentono risospinti da una forza ancora sconosciuta ma terribile, alla quale contribuisce lo spirito emulativo nelle forme di un romantico amor fati di nuovo conio che scalda un crescente e incontrollabile cupio dissolvi. Un sintomo di depressione, comunque. Che, come dice Hazel, non è un effetto collaterale del cancro ma del morire: ma scopriamo che il cancro è inteso quale sinonimo di morte.
Che il film piaccia ad un pubblico giovanissimo, nonostante le sue derive al patetico, le scene tirate a lacrimevole, gli ammiccamenti a una filosofia di vita da prima liceo e un gusto ad elevare i rapporti personali a stati d'essere generali, è un motivo d'allarme e fatto diseducativo. Per questo sarebbe stato meglio vietarlo ai minori di diciotto anni.