sabato 18 ottobre 2014

Santoro e Travaglio, le parole sono pietre


Marco Travaglio e Michele Santoro hanno consumato una rottura ideologica che in breve sarà risanata in forza degli interessi molto poco ideologici, affaristici per la precisione, che li lega da molti anni. Se così non sarà avranno dimostrato di essere persone coerenti e dotate di ideali. Ma se faranno pace, avranno rivelato la loro natura e il tipo di rapporto che li unisce.
Hanno senz'altro pesato sull'animo di entrambi, così nervosi e animosi, i paurosi cali di ascolto di "Servizio pubblico" e l'emorragia di lettori che "Il Fatto quotidiano" sta subendo. La trasmissione di Santoro è precipitata sotto il 5 per cento mentre il giornale di cui Travaglio è vicedirettore e azionista, secondo dati ufficiali dell'Ads, a giugno vendeva 42 mila copie dopo averne perso duemila da gennaio. Oggi è a meno di 40 mila: niente se si pensa che al suo debutto "Il Fatto" registrò un boom di duecentomila copie al giorno. E' dunque comprensibile che i due fratelli siamesi, forse i giornalisti più parziali della storia d'Italia, che naturalmente il destino e l'interesse hanno messo insieme, si mostrino intolleranti anche uno dell'altro. 
E viene da ridere a ripensare al sermoncino di Santoro arrivato dopo che Travaglio ha lasciato lo studio (senza nemmeno salutare): lui da trent'anni fa un tipo di trasmissioni dove il dibattito è inteso non come confronto o scontro ma come scambio di opinioni liberamente ammesse e richieste, senza censura o veti. L'applauso che si è cercato è stato piuttosto timido e impacciato perché tutti sanno chi è Santoro: non solo un uomo che sulle pene degli altri si è costruito una carriera e un enorme conto in banca ma anche il conduttore che ha inventato il torchio in televisione usato in assenza del torchiato. Una pratica che il suo sodale Travaglio ha imparato e applicato molto meglio di lui. 
Travaglio non intervista mai né interloquisce: lo ha dimostrato giovedì sera con Burlando, che molto placidamente lo ha smentito punto su punto ottenendo addirittura l'appoggio di un ragazzo genovese, che anziché accusare il governatore ha deplorato proprio il giornalista, troppo inquisitorio, volgare, unilaterale, disfattista e qualunquista. Se n'è andato dallo studio non per il battibecco con Santoro quanto perché il pubblico, il suo pubblico, in figura di un ragazzo perbene e a modo, lo ha finalmente messo a nudo. Travaglio non ammette confronti, perché ama pontificare ritenendo la sua parola incontestabile. Se viene contraddetto perde il controllo di sé e il risultato è quello di cui ha dato mostra in diretta televisiva. Fa di mestiere il giornalista ma in realtà è un politico non rappresentativo. Non fa mai proposte ma avanza solo proteste. Quando Burlando gli ha rivolto una domanda facile facile, cosa farebbe lui sul torrente Bisagno, si è trincerato dietro una incompetenza apparsa in forte contrasto con la dottrina tecnica appena sciorinata. "Il politico non sono io per cui non sono io a dovere trovare la soluzione. Vi paghiamo per questo" ha detto. Manco un ragazzino avrebbe risposto allo stesso modo.
Un giornalista ha solo uno strumento in mano: l'intervista. E questo strumento deve usare se non vuole essere altro. Il che è del tutto legittimo. Gli opinion maker come Travaglio e Santoro possono essere anche dei giornalisti ma sono innanzitutto la versione moderna dei predicatori e una gamma di politici, che non amano partecipare direttamente e assumersi quindi responsabilità personali ma preferiscono fare politica senza sporcarsi le mani e senza dover rispondere di alcun operato, semmai di un'opinione. E' la condizione nella quale anche i politici vorrebbero ritrovarsi se potessero godere degli stessi guadagni di questi predicatori che imboniscono il pubblico televisivo con un talento sublimato da Renzi e insegnato da Cicerone: l'eloquenza. Il segreto del saper parlare era noto nell'antichità classica, considerato necessario al successo personale. Le scuole di retorica insegnavano non ad argomentare le proprie opinioni al fine di avere ragione ma di affermare i propri discorsi al fine di farsi ragione. Naturalmente davanti a un pubblico. 
Quel pubblico, che in tanti secoli durante i quale le disputationes erano ingaggiate per iscritto fino all'invenzione dello strumento ad hoc, il pamphlet, oggi è lo stesso che sta davanti alla televisione. Tant'è che né Travaglio né Santoro hanno ascolto alcuno sulla stampa o attraverso i loro libri. La loro forza è nella parola. E stavolta l'hanno usata uno contro l'altro. Facendone delle pietre.