Luigi Maina, 88 anni, già cerimoniere del Comune e oggi a capo dei festeggiamenti agatini, benemerito cavaliere divenuto commendatore, spera che la notte del 4 non piova e brillino le stelle. Se così vorrà la patrona di Catania, le candelore dimoreranno (come sarà per la prima volta all’Ottava) tutta la notte in Piazza Duomo, illuminate dal cielo, a fare da corona alla Fontana dell’elefante offrendosi ai flash dei visitatori in un cerchio che circonfonde devozione e tradizione nello spirito di un popolo che venera una santa e coccola un pachiderma di pietra. Del resto tale sintesi di credo e credenza è l’anima della festa di Sant’Agata, se vi è abbinata la laicissima “Candelora d’oro”, premio assegnato quest’anno a Fiorello, e se domattina due carrozze senatoriali, precedute da undici “cannelore”, porteranno le autorità civili dalla chiesa di Sant’Agata alla Fornace in cattedrale per “l’offerta della cera” e la consegna delle chiavi della città alle istituzioni religiose.
Quest’anno le candelore sono tredici per l’aggiunta di quella dei mastri artigiani, opera dei parrocchiani della Madonna Assunta alla Plaja, che nessuno voleva perché non autorizzata né dalla Chiesa né dal Comune. Ma quando l’anno scorso fu portata abusivamente in Piazza Duomo e lì tenuta ferma, senza che potesse partecipare al giro esterno e a quello interno, tutti gli occhi furono per essa perché la folla convenne, con lo stesso commendatore Maina, che è perfetta, un capolavoro assoluto di bellezza e armonia; sicché ora è stata ammessa a pieno titolo alle processioni. Dopotutto nel 2012 era già stata accolta la candelora di Villaggio Sant’Agata, quartiere non meno movimentato del Tondicello della Plaja, per modo che si è voluto riconoscere una seconda iniziativa popolare che però adesso potrebbe indurre ogni quartiere a pretendere la sua candelora, che da simbolo delle corporazioni si muterebbe dunque in emblema di ogni zona. Ma che importa? Al tempo di don Alvaro Paternò le candelore non raggiunsero il numero di 57? Ricreare la fantasmagoria di quei cortei di luci non segnerebbe in fondo che il ritorno a un tempo nel quale la terza festa più partecipata del mondo era un tripudio di forza, colori, suoni e sapori, una dirompente prova di energia umana e una frenesia assordante di voci e di folle costipate. Anche oggi è tuttavia così, ma i toni si sono attutiti. La processione del 4 febbraio lungo la salita dei Cappuccini non è più una corsa impazzita del fercolo né lo è quella dalla Chiesa di San Domenico a Sant’Agata la Vetere, epperò la salita di Via di Sangiuliano conserva ancora la sua febbrile irruenza, anche perché senza la rincorsa è impossibile fare arrivare la “vara” in cima, risultato questo che non può essere mancato perché la riuscita è vaticinio di un anno fortunato per Catania.
Non è soltanto “a cchianata ‘i Sangiulianu” ad apparire nel suo tumulto fuori controllo. E’ l’intera festa incontrollabile. Proprio questa corsa, che prima avveniva la sera del 5 e poi la notte, con le luminarie sfolgoranti, oggi si ha inevitabilmente nella tarda mattinata del 6, a festa chiusa, giacché il giro interno è stato via via allungato per volontà ineluttabile dei devoti, che decidono anche l’itinerario del giro esterno alle antiche mura della città, in calendario giorno 4. E incontrollata è anche la gemmazione delle candelore, che sembrano totem di fervide tribù. Basta stare domani mattina in Piazza Duomo e aspettare che da Via Garibaldi e Via Vittorio Emanuele arrivino simultaneamente le prime due candelore. Dietro di esse seguiranno frotte di bambini vestiti di bianco insieme con calche entusiastiche di fedeli oranti. Molti, col “saccu” bianco e la “scuzzetta” nera in testa, sciameranno con tutti gli altri devoti a colorare le strade della città e aprire le processioni sotto il peso di ceri accesi che dovranno essere necessariamente alti quanto loro e grossi quanto la devozione che portano alla santa. Come i cerei, cioè le candelore, anche i ceri nascono per iniziativa spontanea proprio dei devoti, da ritenere i veri padroni della patrona.