mercoledì 30 ottobre 2019

"Il Condottiero" di Antonello non è Canderas


Anselmo Madeddu, ricercatore siracusano e al secolo dirigente sanitario, ha avanzato su “La Sicilia” l’ipotesi che il ritratto del Condottiero, custodito al Louvre e opera certa di Antonello da Messina, sia quello di Giovanni Cardenas, governatore per venticinque anni della Camera reginale su incarico di Isabella di Castiglia di cui era maggiordomo di corte.
La teoria è suggestiva ed ha del mirabile, se a suo fondamento non contasse solo due programmi informatici che consentono uno di stabilire il grado di somiglianza tra immagini diverse e l’altro la correzione dei tratti di una figura: sicché Madeddu, accostando il dipinto di Antonello alla foto di Cardenas presa dal sarcofago del Bellomo (scolpito, secondo Giuseppe Agnello, da Antonello Gagini, il figlio del più celebre Domenico) e ricostruendo in photoshop il naso mancante del gentiluomo spagnolo, è arrivato all’affrettata e sbrigativa conclusione che la somiglianza è del 95% e che il naso - da lui stesso ritoccato - è identico a quello del quadro. Una certa somiglianza c’è, soprattutto nella presenza in entrambi di una cicatrice sul labbro superiore (elemento che ha eponimato l’opera), ma è vaga: i lineamenti di Cardenas sono più sfilati e gentili rispetto a quelli più massicci e rustici dell’anonimo, che molto difficilmente il governatore reginale avrebbe approvato e apprezzato in sé.
Ad ogni modo non può bastare un raffronto d’insieme per dedurne una scoperta che, se confermata, avrebbe del sensazionale, tenendo ora solo al sensazionalistico. Dimostrerebbe che dei tredici ritratti virili attribuiti ad Antonello solo questo ha un modello sicuro e per giunta siciliano. Dimostrerebbe anche la permanenza nell’artista messinese di un gusto fiammingo che sul finire del 1474 egli intende invece abbandonare per aderire a quello rinascimentale italiano, motivo principalmente per il quale lascia Siracusa e si trasferisce a Venezia. E ha peraltro una gran fretta di farlo, tant’è che per l’Annunciazione firma con il committente di Palazzolo Acreide un “contratto di allogagione” col quale si impegna a realizzarla in soli tre mesi, dalla fine di agosto a novembre. Praticamente una missione impossibile. Che Madeddu rende ancora più inverosimile.
Per spiegare infatti la data del 1475 apposta sul cartiglio dall’artista e per trovargli più tempo perché dipinga contemporaneamente e in frenetico anche il ritratto di Cardenas, Madeddu suppone che Antonello si sia fermato a Siracusa almeno fino a marzo dell’anno successivo - ciò che però non spiega la sua frenesia nel volere consegnare presto l’opera - e giustifica il fatto che il possessore veneziano del quadro, Luigi Celotti, scriva nell’Ottocento che esso è del 1474 e non del 1475 adducendo che nella Venezia del quindicesimo secolo l’anno cominciava a marzo.
Venezia dunque. Madeddu congettura che il quadro sia finito nella Laguna perché acquistato dalla famiglia veneta che lo ebbe per prima, i Corner, in uno dei suoi viaggi di affari nel Mediterraneo. Si tratta invero di una mera supposizione priva di fonti, non diversa dall’altra secondo cui a commissionare il dipinto ad Antonello sia stato lo stesso Cardenas. Il quale in verità non avrebbe certamente accettato che il suo ritratto fosse considerato di anonimo e portasse inciso nel cartiglio il nome del dipintore e non il proprio: tanto più che a lui per primo e ai suoi contemporanei, siracusani e spagnoli, la somiglianza sarebbe apparsa bene evidente se oggi tale risulta a Madeddu.
Sarcofago di Cardenas
Inspiegato rimane anche il perché Antonello avrebbe dovuto, diversamente dal trattamento usato a ogni altra personalità laica o ecclesiastica da lui ritratta, dipingere così accuratamente, fino alle cicatrici, il signore di Siracusa (peraltro tanto amato da essere dallo storico Serafino Privitera ricordato come “lodevole” il suo governatorato e per i funerali celebrato con tali onori e solennità da avere riservata la elitaria chiesa dei domenicani chiamata “conventus regius”), rendendolo a tutti riconoscibile, per poi farlo passare come un quisque de populo – ancor più se si pensa che Cardenas deve aver pur posato per farsi ritrarre ed è dunque da scartare che l’abbia fatto per essere dileggiato o per arricchire la galleria di ritratti anonimi dell’artista. Artista nel 1474 peraltro super impegnato, se si pensa alle numerose opere realizzate nello stesso anno, fra cui altri tre ritratti. Ai quali Madeddu ne aggiunge ancora uno, non riflettendo tuttavia su alcuni punti determinanti che riguardano la ricerca artistica di Antonello e il suo tempo.
Basta osservare il dipinto del Condottiero: da un lato il fondo rigorosamente nero e la luce che proviene da un solo punto a illuminare il volto e creare le ombre; da un altro la balaustra al posto del parapetto e l’accuratezza maniacale dei dettagli: ci sono i fondamenti della scuola fiamminga ma già si intravede l’arte italiana, c’è Venezia e c’è l’inondazione di sole del Bellini. Se Il Condottiero viene raffrontato al cosiddetto “Sorriso di ignoto marinaio”, il primo ritratto della serie, risalendo al 1465, si coglie ancor più una linea di continuità che sta per fare spazio a nuove istanze. Il “Sorriso” connota il superamento della scuola medagliera dello scorcio giunta fino a Piero della Francesca e sostituita con uno spostamento del modello di profilo alla posa di tre quarti, mentre Il Condottiero completa il bagaglio arrivato dalle Fiandre arricchendo il volto di un dippiù di espressività che nel supposto ritratto di Cardenas non solo è più marcata ma anche l’opposto di quella del ritratto cefaludese. Ed è l’ultima. Ed è certamente veneziana. La migliore ricerca ha dato da tempo un possibile nome all’uomo di truce aspetto che sembra appartenere più a una coorte militare che a una corte regale: Sforza Maria Sforza, duca di Bari in soggiorno nella Serenissima agli inizi del 1475, proprio quando Madeddu tiene Antonello ancora a Siracusa, sebbene sia lo stesso artista a dichiarare, per la prima volta del resto, la datazione del suo lavoro.
Sembra irrilevante, ma un conto è assegnare Il Condottiero al 1474 e un altro posticiparlo al 1475. La parabola artistica di Antonello si compie infatti proprio nell’arco di pochi mesi da un anno all’altro. Proporre che l’opera sia siracusana significa supporre in Antonello un interesse fiammingo che non si ritrova nemmeno nell’Annunciazione, così luminosa eppure ancora così nordica. Il Condottiero è perciò veneziano e Juan Cardenas può continuare a riposare in pace senza timore di essere spacciato per un duce bellicoso – lui così pacifista e umanitario da aver dato agli ebrei un quartiere tutto loro solo pochi anni prima che la sua regina li cacciasse tutti via dal regno.