lunedì 14 giugno 2021

E l'epopea dei Florio divenne un fumettone

Articolo uscito su Libero il 4 giugno 2021

Se con la storia dei Florio Stefania Auci ha dato a Palermo la saga siciliana ottocentesca che Federico De Roberto diede a Catania con la trilogia dei Vicerè, non si può dire che la prima, presa dal vero, valga la seconda dove, pur di invenzione, la città etnea – con la sua classe nobiliare, le tensioni sociali, i rivolgimenti politici nel quadro nazionale – è ben più presente di quanto il capoluogo non sia soprattutto nel secondo dei due volumi, L’inverno dei leoni (pp. 680, euro 20, Nord). Qui gli alti aristocratici non imparentati con i Florio sono appena nominati e mai entrano davvero in scena: il principe di Trabia, marito di Giulia Florio, lo fa solo (e in maniera scorciata) a distanza di molti anni dal matrimonio, mentre il principe Lanza di Mazzarino è il solo a parlare quando rivolto a Ignazio Florio lo incoraggia a comprare uno yacht. 
Quel che manca è il vero tema sotteso alla vicenda della storica famiglia di mercanti e cioè quello scontro epocale tra borghesia emergente e aristocrazia declinante che è stato il cuore ancora oggi battente del Gattopardo. Pensando a un romanzone storico, la Auci ha sortito un fumettone sentimentale preferendo i drammi intimi dei singoli Florio alla questione sociale di una città specchio di un’intera regione. Invece di una saga alla Buddenbrook, famiglia alle prese con il suo contesto prima che con se stessa, l’autrice palermitana ci ha dato una sagra di emozioni e patemi che regge un quadro narrativo nel quale non a caso la parola più frequente è “amore”. Tradimenti, passioni, colpe, lutti, innamoramenti, turbamenti (e quant’altro serve a forbire una questione privata) prevalgono su ragioni economiche e finanziarie, manovre politiche, sommovimenti sociali, usi e costumi di una città che è speculare ai Florio.
Mentre infatti la Auci imputa all’incompetenza di Ignazio Jr il tracollo di Casa Florio, in realtà è provato che fu l’avversione originaria della “Palermo felicissima” e più in vista a volerne il declino, decretato poi dalla strategia nazionale governativa intesa a favorire il Nord a discapito della generale impresa meridionale, definitivamente affossata dalla Grande guerra. C’è insomma Palermo, peraltro accuratamente descritta nella sua topografia, ma mancano i palermitani: cosicché la Auci non può per esempio che ricondurre a indistinte “voci” la fonte cui attinge Franca Florio per essere minuziosamente al corrente di ogni tradimento del marito. Mancano le res gestae, ma ci sono le microstorie e quel che abbiamo – in un manzoniano “misto di storia e invenzione” dove la seconda supera largamente la prima – è una soap opera diretta a cogliere il quadro d’ambiente e non quello sociale. Perché no dopotutto? Volgendo l’epopea dei Florio in un “cuntu” popolare, la Auci ha ottenuto un’opera mass-cult e dunque di successo, buona per una serie Tv del tipo dei “Medici” dove la storia cede al costume e al colore. Un successo che è invero frutto del fascino da sempre suscitato dalla storia dei Florio, fulgidissima e amarissima, che la Auci ha saputo semplificare e rendere alla portata di chiunque ami sospirare e penare d’amore.
Non si tratta di limiti ma di scelte, del tutto legittime in un romanzo. Del resto l’autrice ha già avvertito che chi cerca l’economia deve leggere altro. Senonché un limite, forse doppio, è invece nello stile: da un lato l’uso del corsivo per esprimere i pensieri dei personaggi, trovata che impedisce la lettura ad alta voce e non risponde al canone della saga; e da un altro l’adozione del presente storico (tempo non narrativo né commentativo: Weinrich) rallenta il racconto ed entra troppo spesso in conflitto con il sistematico ricorso all’analessi (il recupero di fatti già avvenuti, alla maniera della tragedia greca) che introduce un trapassato prossimo motivo di una grammatica dell’ora e dell’ieri cui l’autrice è costretta, per tornare al presente, ottenendo esiti dissonanti e un ulteriore effetto perturbativo: il disequilibrio tra eventi passati e presenti che rende secondari i primi quando molte volte sono anzichenò prevalenti.
Al di là di queste remore, il romanzo (il cui titolo adombra il declino di Casa Florio ma ignora la “bella stagione” artefice Ignazio Florio padre) va letto appunto come un romanzo e non come una biografia. Rispetto al primo tomo, quello appena uscito non è solo più lungo ma più ricco e dedica il suo maggiore spazio a Ignazio e Franca Florio, dandone un’immagine nuova: il primo un fedifrago arrogante e incapace, la seconda una moglie addolorata ed estranea agli affari di famiglia, entrambi in qualche modo ricalcati sullo stereotipo siciliano. La storia però li ricorda come modello di coppia moderna ammirata in tutta Europa.