mercoledì 27 settembre 2023

Quella pesca, una tentazione senza possibilità


Lo spot della Esselunga, lodato e lanciato da Giorgia Meloni, è bello ma distorsivo. Una bambina che soffre per la separazione dei genitori e prova perciò a farli rappacificare dando al padre una pesca presa al supermercato dicendogli che è stata la madre a fargliela avere non è solo una piccola bugiarda che architetta intricati inganni (davvero inefficaci, perché chiunque penserebbe al posto del marito che lei si voglia prendere beffa di lui con una pesca), ma anche un giudice che ha già dato alla mamma la colpa della separazione. La bambina, che sorride solo al padre, verso il quale corre contenta, quando stando con la madre non solo si allontana dentro il market a sua insaputa ma non le rivolge la parola in macchina, è palesemente a favore di lui, al quale attribuisce il potere della riconciliazione: gli dà infatti la pesca perché lui perdoni la mamma, sempreché poi la ex moglie non gli dica che ha fatto tutto la figlioletta. La quale non ha invero bisogno di tali mezzi per mostrare ai genitori quanto stia male a non vederli insieme, ancor più quando le capita di guardare dal finestrino della macchina e invidiare altre famigliole.
Nessuna bambina potrebbe gioirne, sicché quale messaggio lo spot Tv finisce per trasmettere? Proponendosi di dimostrare che ogni acquisto ha un suo valore affettivo, ottiene di far passare una pesca per la mela del peccato originale, offerta da Eva in combutta col serpente ad Adamo perché mangi il frutto proibito. La tentazione cui induce allora i genitori la piccola Emma (portatrice di un nome che rimanda a una più infingarda e infelice Emma, quella flaubertiana) è, provando a recuperare il loro amore, di darsi una possibilità. Che però è impraticabile dal momento che i due coniugi l’hanno considerata un frutto proibito, anche al costo di far soffrire la loro piccola. L’effetto subliminale dello spot è di addossare a lui e a lei un peccato, che è quello del divorzio, una conquista cinquantennale della società italiana che solo rigurgiti reazionari e fondamentalisti agitano anche politicamente.
Lo spot non è però solo distorsivo, ma è anche inappropriato allo scopo per il quale è stato realizzato. L’idea che ogni acquisto sia un dono per sé e per gli altri può trovare spazio in un ambito nel quale sia il consumismo a dettare i comportamenti sociali. Acquistare merci non è, soprattutto oggi, un credo al quale votarsi se le urgenze maggioritarie sono quelle di risparmiare, contenere le spese, scegliere i beni necessari e rinunciare a quelli voluttuari. La stessa bambina avrebbe pensato a un fiore, magari di campo, adducendo che fosse stato raccolto da mamma o papà per farlo avere per sua mano al coniuge. Questo sì sarebbe stato uno spot “molto bello e toccante”, secondo le parole della presidente del Consiglio, epperò avrebbe dovuto essere realizzato da un floricoltore e non da un centro commerciale dove tutto si trova tranne che i fiori e che legittimamente, per i suoi interessi, può stabilire che “non c’è una spesa che non sia importante”. Un altro avrebbe dovuto essere, nel nostro esempio, lo slogan finale in sovraimpressione: “Non si può cogliere un fiore senza turbare una stella”, celebre massima di Galileo Galilei, che bene si presta a mutare un turbamento in un ripensamento.
Lo spot (più che altro un corto) è stato lodato dai conservatori e contestato dai progressisti che hanno parlato, con qualche ragione, di strumentalizzazione. Averla come al solito buttata in politica ha svuotato di contenuto quella che è una questione di coscienza che solleva domande su aspetti relativi al Leviatano del nostro tempo, cioè il mercato. Esselunga ha pensato che coniugare cuore e pancia fosse come portare nel portafoglio soldi e foto dei propri cari. Si può fare, lo fanno tutti. Ma non sono logiche nelle quali coinvolgere una bambina entro una sfera di affetti così delicata com’è quella che si crea nella precarietà di un matrimonio.