venerdì 5 gennaio 2007

Al Bano: la musica mi ha salvato dalla mia tragedia

 


È la mia vita (Mondadori) è il libro autobiografico in cui Al Bano si confida partendo dagli inizi, dai grandi sacrifici, per arrivare ad oggi, alle ultime pene, le tragedie e le speranze. Una vita quella in cui le parti che riguardano Romina e Loredana sono licenziate con espressa reticenza.
Lei si racconta senza nascondere nulla anche per quanto riguarda le sue finanze, però tace le storie più importanti, quelle d’amore. Per privacy?
Sì, ho sempre detestato il gossip. Mi sono trovato protagonista di gossip involontari come per l’incidente con quel giornalista, al quale, ricorderà, non ho lesinato una «piccola, forte carezza». Ci sono modi, a mio avviso, che irritano anche il telespettatore ed io non riesco a dare in pasto la mia vita come altri vorrebbero.
Chi si aspettava una certa pruderie però è rimasto deluso.
Al gossip non ho mai dato e non darò mai la mia faccia. Il gossip l’ho sempre combattuto. Però certi fatti di vita andavano raccontati e l’ho fatto scrivendo alcune pagine con molto dolore, altre con allegria.
Lei solleva il problema del peso della politica nel mondo dello spettacolo. Come lo vede?
È un problema presente più in generale in tutto il mondo sociale: il peso della politica è evidentissimo. Dagli antichi romani ad oggi.
A lei quanto è costato?
A me è costato il fatto che volontariamente ho preso la strada dell’estero. E tutto sommato ringrazio per aver fatto questa scelta perché all’estero funziona ancora la meritocrazia.
Ritiene sia cambiato qualcosa in Italia?
Non credo proprio. Ne parlavo con Carmen Lasorella che stranamente sta avendo problemi dello stesso genere. Non è giusto che ad una professionista che ha dato e che avrebbe continuato a dare tutto ciò che è nelle sue capacità non sia consentito di lavorare. Lei ha avuto un infortunio sul lavoro è vero, ma a maggior ragione si dovrebbe dare la possibilità di continuare a lavorare a chi come lei ha rischiato la vita nel proprio mestiere.
Secondo lei la politica nell’arte è più avvertita oggi che negli anni ’70?
È sempre sottilmente uguale. C’è chi opera nel potere con arroganza e chi in maniera più velata. Comunque quando si ha in mano il potere svanisce ogni capacità di autocontrollo. E poi non si può nemmeno parlare di autocontrollo perché chi gestisce il potere si ritrova a dovere fare i conti con gli altri della stessa cordata.
Quindi la seconda Repubblica è uguale alla prima, nella sostanza.
Come dicevo prima è uguale dai tempi dei romani ad oggi. Certo, prima la gente si dava in pasto ai leoni mentre oggi si dà in pasto ai leoni della penna. La verità è che l’essere umano deve ancora diventare umano.
Le sue canzoni possono essere rilette alla luce della sua vita?
Ho fatto canzoni molto intense negli ultimi quarant’anni che indipendentemente dalla mia volontà hanno avuto il sopravvento come Felicità, Pensando a te o Nel sole. C’è un altro Al Bano che è tutto da scoprire. Il disco, grazie a Dio, è una pagina datata. Ho fatto esperimenti che erano all’avanguardia, di cui però, chissà perché, nessuno ha osato parlare.
Ma la critica più avvertita queste cose le ha riconosciute.
Sì ma le ha mollate subito.
Quindi lei ha avuto più nemici che amici in quarant’anni di attività?
Nei rapporti umani e sociali sono un po’ timido. Non sono capace di andare a cercare gli uomini giusti che parlino bene di me. È più forte di me.
Ecco perché da ragazzo non ebbe mai il coraggio di avvicinare di presenza Modugno e Celentano.
Già. Però li osservavo, li studiavo, ce li ho ancora tutti e due nel cuore. Sono maestri involontari di vita.
Più Modugno che Celentano?
Ma no, tutti e due. Certo, Modugno l’ho scoperto prima. Ma anche Adriano con la sua genialità evidenziata alla sua maniera. È stato salutare l’incontro con Adriano.
Il suo decennio migliore è stato il primo, quello degli anni ’60, o quello degli anni ’80?
Me lo lasci dire: deve ancora arrivare.
Mi pare che adesso lei si stia occupando a piena testa di un’altra attività.
Prima di tutto viene quella canora. La mia equazione è: il contadino sta al cantante come il cantante sta al contadino.
C’è anche quella del pescatore come figura non secondaria.
Noi uomini di questa parte di Puglia siamo in effetti per metà contadini e per l’altra pescatori.
È vero che a diciott’anni partì con 4300 lire in tasca?
È verissimo, altroché. E deve aggiungere come vettovaglie una bottiglia di vino, una di olio e delle frittelle.
E mangiò per una settimana ananas convinto che fosse carne in scatola?
Penso sempre a questo episodio che può far ridere ma che invece dovrebbe far pensare. Mi chiedo che cavolo ero andato a fare cinque anni alle elementari, tre alle medie e due al magistrale? Non avevo mai sentito dire la parola ananas. Mai. E tante altre parole non avevo mai sentito pronunciare.
Le pagine che io ritengo più belle sono quelle che lei dedica a suo padre. Perché suo padre ha tanto più spazio nella sua vita rispetto, per esempio, a sua madre o ai suoi figli?
Mia madre era ed è una donna tanto forte quanto silenziosa. Non esprimeva tutto quello che aveva dentro e però sapevo che c’era. Era come una caverna dove ci si poteva rintanare quando e come si voleva. Mio padre, essendo un artista, era invece più estroverso ed io ero attratto da questo.
Ma lei è stato più legato a suo padre.
No. Ne parlo di più solo rispetto al mondo di mia madre che, forte e solida, era rintanata in questa grande grotta di valori. In ogni treno c’è il motore e ci sono le ruote: diciamo che mio padre era il motore.
Tra i giorni più belli del suo rapporto con suo padre, lei stesso lo ammette, c’è stato quello in cui gli mandò un assegno di otto milioni che lei non volle cambiare.
Quello che mi manca di quel momento è di non averlo visto in faccia. Però me lo ha raccontato lui e non lo dimenticherò mai in vita mia.
Lo ha anche portato in Albania.
In Albania ho portato sia mia madre che mio padre. La prima volta ho portato mio padre, poi ci sono tornato altre volte portando tutti e due. È avvenuto in un momento in cui era impossibile andare in Albania da soli. E questa è stata la specialità di quei viaggi.
Ciò che sorprende è che lei, pur preso da mille impegni e tournée, trova il tempo di portarli in gita.
L’ho fatto anche per un motivo ben preciso: in quel periodo cantavo insieme a Romina, lei era in attesa di Cristel, e l’unico periodo libero era il mese di ottobre. Fu veramente un bel viaggio.
Lei non parla delle sue donne che le hanno dato sei figli, però parla - e non poco – della storia di sua figlia Ylenia. Perché lo ha fatto?
C’è una denuncia ben precisa che muovo. Ylenia era una ragazza che fino a diciotto anni odiava anche la sigaretta normale. Poi è rimasta vittima dei lupi di strada.
Ma perché non è riuscito a salvarla dai lupi di strada? Dove ha sbagliato?
Ho fatto veramente di tutto. Ma quando la disgrazia piomba addosso come uno tzunami non c’è niente da fare nonostante la propria forza, le proprie sensazioni. La sensazione che dal mese di luglio del ’93 non mi ha mai abbandonato era che stava per succedere qualcosa di grave. E giuro che ho lavorato per salvare mia figlia con intelligenza, senza alcun atteggiamento di padre-padrone. Ma purtroppo non c’è stato niente da fare.
A distanza di sedici anni lei avverte sensi di colpa per quanto è successo?
Quando mi guardo allo specchio, penso che forse sarebbe stato meglio se non fossi mai nato, così non sarebbe nata neanche lei. Forse è forte quello che dico e me ne scuso, perché mi rendo conto che dicendo così vado oltre il razionale.
Mi pare di capire che Ylenia sia stata tra i suoi sei figli quella sì più sfortunata ma cui lei è stato più legato.
Io sono legato a tutti i miei figli in eguale misura perché ogni figlio ha la sua specialità e le sue scelte di vita e occorre che si abbandoni il proprio ego per capire chi sono e dove vogliono andare. Non mi è stato facile farlo, semplicemente perché io non ero stato capito dai miei e un po’ ne soffrivo. Per fortuna ero un elemento forte e quindi, nonostante la loro disapprovazione per la mia scelta di vita, io sono andato avanti per dimostrare che tutto sommato era il frutto dei loro valori che stava andando avanti e non Al Bano e basta. Con i miei figli volevo esattamente l’opposto, capire cioè dove stessero andando e assecondarli. Un figlio deve camminare da solo, deve imparare a cadere da solo e a rialzarsi da solo. E se ha bisogno di aiuto, che sappia che c’è sempre un’anima pronta a sollevarlo. E quest’anima si chiama padre.
Nei programmi del suo futuro lei pensa più alla sua mega azienda o alle sue canzoni?
Io sono legato alla musica per un fattore vitale che va al di là del successo. Ho scelto un repertorio molto duro, e questo lo so. Non so se avrò l’intelligenza di cimentarmi in un altro genere di musica. Se l’intelligenza non mi abbandonerà, penso che nei prossimi due anni abbraccerò un repertorio più soft. Io sono ancora a fare a braccio di ferro con me stesso affrontando i do, i re, i mi di testa e di petto. E questo non sempre è possibile. Ci vogliono dei fiati incredibili e comincio a capire che, mentre prima erano naturalmente violenti, oggi me li devo giostrare con una certa maestria. E quindi dovrei cominciare a pensare a trovare un repertorio più soft. Comunque per me la musica è vitale e se non avessi cantato non so come avrei potuto vivere quella tragedia.