venerdì 13 novembre 2009

Parlate di Saviano, per salvarlo


Carmine Schiavone, pentito della camorra, ha detto che Roberto Saviano non sarà ucciso (se il proposito dei casalesi rimarrà vivo e sia davvero fondato) che quando sarà dimenticato, perché oggi attentare alla sua vita equivarrebbe a farlo santo.
E’ una regola di rivalsa nota sin dall’antichità. Suggeriva Plutarco nei Moralia: «Dobbiamo procrastinare la nostra difesa, perché potremo attaccare il magistrato ingiusto quando sarà uscito di carica». Colpire il proprio nemico nel momento in cui è privo di armi significa impedirgli di offendere ma anche di apprestare una difesa. E’ la logica dell’assedio ad ispirare tale tattica: si aspetta che la città fortificata si renda vulnerabile non a seguito di un asssalto ma a causa di un deficit interno. Non diversamente si comporta nel mondo animale la belva che attacca la preda solo se riconosce oggettivamente che sia più debole, altrimenti aspetta che lo divenga.
La camorra dunque aspetta che Saviano sia debole, così come fece la mafia quando uccise Falcone. E quando l’autore di Gomorra può trovarsi in uno stato di debolezza? Quando, dice Schiavone, sarà dimenticato, quando cioè non ne parlerà più nessuno. Il problema di tenere sempre sveglia la memoria di una persona e quindi di mantenere viva la sua presenza se lo pone anche Telemaco quando pensa al padre Ulisse che teme possa essere morto «non visto, non conosciuto», senza che un poeta ne canti le gesta e ne salvi la memoria. La quale nelle popolazioni primitive è legata alla preoccupazione di non fare spegnere mai il fuoco, sicché occorre ricordarsi di tenerlo sempre acceso, pena il rischio di rimanere privi di una fonte di sostentamento e quindi di vita. 
La memoria (la Mnemosyne dei greci, una delle divinità più care al mondo classico, che la concepisce non come una funzione fisica da esercitarsi facoltativamente ma come un atto di volontà che sottende un’azione necessaria alla vita) è sinonimo dunque di presenza reale e di salvezza. Non dimenticare Saviano, non permettere che cada nell’oblio generale, comporta in capo alla collettività l’obbligo di esercitare la memoria attorno a lui, cioè di parlare di lui. Questa è anche la strategia di Orfeo che si fa ragione sul mondo e sui nemici cantando, ovvero facendo uso del mezzo della parola. L’orfismo raccomandava ai trapassati di non bere l’acqua del Lete per evitare di cadere nell’oblio e tenere il ricordo del proprio passato al fine di raggiungere un livello superiore di saggezza. La salvezza di Saviano, ce lo dice Schiavone, non dipende dunque da lui e da quanto saprà e potrà fare per salvarsi, ma da quanti altri vorranno ogni giorno ricordarlo: citandolo, leggendolo. Parlandone, direbbe Orfeo.