Chi sta operando per il siluramento di Gambuzza e la riconquista della Camera di commercio di Ragusa risponde, anche senza saperlo, a una precisa strategia la cui mente non è ragusana.
Una mente che persegue un duplice scopo: fare pagare a Gambuzza il patto parasociale stretto con la Camcom di Catania per un cartello separato e autonomo dentro la Sac e il conseguente voto espresso a favore di Giannone che è diventato, anche grazie a Gambuzza, il presidente della Società aeroporto Catania. La quale società costituisce il bottino primario della complessa e oscura manovra messa in campo. Tutto questo l’hanno capito e saputo tutti, è vero. Quel che però non si è capito è la ragione per cui rappresentanti di enti e associazioni ragusani debbano dare conto delle proprie scelte, che dovrebbero essere ispirate al bene della provincia iblea, a una mente forestiera che a distanza maneggia come un puparo uomini e cose non automaticamente a vantaggio della stessa provincia iblea. Né si è capito cosa c’entri, nei giochi interni alla Sac e nelle strategie di scenario, la Camera di commercio di Ragusa con l’aeroporto di Catania, al di là del fatto che è proprietaria in Sac di un ottavo delle azioni sin dalla costituzione dell’Azienda speciale aeroporto Catania già negli anni Settanta.
Una mente che persegue un duplice scopo: fare pagare a Gambuzza il patto parasociale stretto con la Camcom di Catania per un cartello separato e autonomo dentro la Sac e il conseguente voto espresso a favore di Giannone che è diventato, anche grazie a Gambuzza, il presidente della Società aeroporto Catania. La quale società costituisce il bottino primario della complessa e oscura manovra messa in campo. Tutto questo l’hanno capito e saputo tutti, è vero. Quel che però non si è capito è la ragione per cui rappresentanti di enti e associazioni ragusani debbano dare conto delle proprie scelte, che dovrebbero essere ispirate al bene della provincia iblea, a una mente forestiera che a distanza maneggia come un puparo uomini e cose non automaticamente a vantaggio della stessa provincia iblea. Né si è capito cosa c’entri, nei giochi interni alla Sac e nelle strategie di scenario, la Camera di commercio di Ragusa con l’aeroporto di Catania, al di là del fatto che è proprietaria in Sac di un ottavo delle azioni sin dalla costituzione dell’Azienda speciale aeroporto Catania già negli anni Settanta.
Il manovratore è Ivan Lo Bello, siracusano, già presidente di Confindustria Sicilia, oggi presidente della Camcom di Siracusa nonché uno dei tanti vicepresidenti di Confindustria nazionale. Gli industriali finiti sotto il tiro della mafia non lo potranno mai dimenticare: fu quello che li buttava fuori se pagavano il pizzo. Anziché proteggerli, li espelleva dall’associazione lasciandoli quindi ancora più soli. I prossimi a doversi ricordare bene il nome potrebbero essere i ragusani.
In realtà a Lo Bello interessa il controllo della Camcom iblea perché è interessato alla Sac di Catania e quindi all’aeroporto Fontanarossa che si prepara a diventare intercontinentale. Quando lo sarà varrà un terzo in più del valore di oggi. E varrà ancora di più quando la Sac, attraverso l’Intersac che ha la maggioranza nella Soaco, potrà vantare tra i suoi beni anche l’aeroporto di Comiso, sempreché sarà inaugurato.
La domanda è infatti questa: perché, pur completato, il Magliocco viene tenuto in stand by, in un rosario infinito di rinvii da un adempimento all’altro, ognuno festeggiato dal sindaco Alfano e dal presidente della Soaco con giubilo e fax in mano davanti alle telecamere? È mai credibile che per appena tre milioni un aeroporto rimanga fermo per anni? Chi in realtà non lo vuole e fa in modo che passi il tempo senza che nulla cambi nella condizione di sospensione in cui l’aeroporto si trova? E perché prendere tempo se l’inaugurazione è già decisa ed è solo questione appunto di tempo? Sono domande che richiedono di rifare la storia degli ultimi avvenimenti.
La Sac è una società interamente pubblica, alla quale partecipano per cinque ottavi le tre Camcom di Catania, Siracusa e Ragusa. Quella di Catania possedeva tre ottavi e quindi il maggior numero di consiglieri. Riducendosi, per la spending review, il Consiglio a cinque componenti e spettando non più cinque ma tre membri alle Camcom, l’ente etneo, ovvero Pietro Agen, presidente di Confcommercio Sicilia, ha preteso che due consiglieri fossero di sua scelta e ha lasciato a Ragusa e a Siracusa la libertà di decidere tra loro il terzo.
Lo Bello ha ceduto la scelta al collega di Ragusa perché quelli che gli interessavano erano i due nomi da designare a Catania. In sostanza voleva essere lui a scegliere i due consiglieri al posto di Agen perché, contando su nomi propri, poteva avere maggior peso personale nella Sac. Ma Agen ovviamente gli ha mostrato il divieto d’accesso sicché l’esorbitante e incurabilmente invasivo multipotenziario siracusano gli ha dichiarato guerra.
A questo punto Lo Bello si aspettava che quantomeno la Camcom iblea mantenesse la linea di tradizionale allineamento con quella siracusana: avendola lasciata libera di indicare il terzo nome, adesso poteva, in contropartita, chiedere che votasse secondo le sue intenzioni. Invece Gambuzza, dopo un periodo di perplessità durato l’intera estate, ha deciso di fare da solo e si è schierato con la Camcom di Catania votando alla presidenza un candidato per giunta ragusano.
Lo Bello si è perciò trovato senza Catania e senza Ragusa. Ed ha indossato gli scarponi chiodati per muovere guerra a entrambi. Da otto gli oppositori di Gambuzza sono diventati dodici, aggiungendosi soci e figure vicine a Lo Bello, che ha fatto sentire subito la sua mano. Lo schieramento frondista si è poi esteso presto a quattordici e ha preso perciò la maggioranza.
Ma adesso per cacciare Giannone occorre una mozione di sfiducia che sostenga una motivazione molto grave, così come dispone lo Statuto. La mozione non è stata ancora presentata e ciò significa che la motivazione non è stata ancora trovata. Intanto Lo Bello guerreggia, con incerte fortune, anche sul fronte catanese. Il suo progetto, così come si sono messe le cose, potrebbe però regredire a mero proposito. Quale progetto? Vediamo di capire.
Controllare la Sac vuol dire ovviamente poterne disporre. La sua anomalia è quella di essere una società interamente pubblica, che è quanto di più disdicevole possa vedere oggi l’Enac, il cui presidente Vito Riggio non si stanca mai di ripetere che il verbo imperante è privatizzare. La privatizzazione è oggi vista come un totem di lunga e prospera vita per qualsiasi attività imprenditoriale. Un tempo era considerata invece una dannazione tant’è che si tendeva a statalizzare per dare certezza occupazionale e aspettativa di vita sicura alle imprese. Oggi le cose sono cambiate e, per quanto riguarda gli aeroporti, società di gestione private - non solo nel senso del diritto privatistico cui sono soggette le spa, ma anche come proprietà privata - sono preferite a farragionose e malfidate intestazioni pubbliche. Almeno da Riggio. Che in definitiva è quello che ha tenuto l’aeroporto di Comiso al palo.
Fontanarossa, come pochi altri aeroporti del Mezzogiorno, continua perciò a costituire un’eccezione. Che potrebbe diventare però la regola se la Sac continuasse a crescere come in realtà sta facendo. Una Sac che diventasse sempre più pubblica allontanerebbe ogni progetto di privatizzazione. Chi vuole privatizzare lo scalo catanese deve farlo dunque quanto prima possibile. Tant’è che chi infatti caldeggia tale prospettiva ragiona in questi termini: se privatizzare vuol dire vendere e vendere vuol dire innanzitutto possibilità di offrire sul mercato un bene conveniente e perciò acquistabile, è evidente che più è facile vendere quanto meno costa il bene da mettere in vendita. E tanto più riesce facile vendere quanto meno i venditori siano indecisi. Ora, la Sac non è indecisa. È proprio contraria, perché nessuno degli enti pubblici che sono soci è disposto a vendere. Non tanto per ragioni di attaccamento al bene o impulsi etici, quanto per un semplice motivo: perché vendere oggi un aeroporto che fra due o tre anni, quando sarà intercontinentale, varrà almeno il doppio? E varrà ancora più del doppio perché si aggiungerà l’aeroporto di Comiso.
Per una Camcom come quella iblea, che è entrata in società versando appena cento milioni di lire e oggi vede che la sua quota di proprietà Sac vale 18 milioni di euro, sarebbe un pessimo affare vendere oggi. E così per le altre due. A meno che non sia il Consiglio di amministrazione a deciderlo. E per farlo deve essere portato sotto un severo controllo. Ma le cose sono andate diversamente. La Sac ha consolidato il suo carattere pubblico ed è per giunta diventata, con Giannone alla presidenza, la prima sostenitrice dell’aeroporto di Comiso, che ha adesso nuove buone chances. Si tratta comunque di progetti che, quanto al Magliocco, possono realizzarsi solo dopo cinque anni dal primo volo. Prima nessuno può vendere. Ma c’è Fontanarossa, che si trova però sempre più combinata con Comiso.
Si pone peraltro una questione gravida di molte implicazioni, dal momento che – con l’intervento della Intersac, proprietaria al 65% della Soaco e finanziata dal 40% di capitali privati, rappresentati da sigle riconducibili a Mario Ciancio – l’aeroporto di Comiso è in parte già privatizzato, perlomeno lo è più di Fontanarossa. Non potrebbe mai essere venduto del tutto perché il Comune vanta diritti inalienabili, ma una maggiore presenza privata, purché si tratti di un gestore aeroportuale certificato, anche straniero, potrebbe determinare il tipo di gestione, che è ciò che conta e che fa business. La differenza tra pubblico e privato è in ciò, che il privato può impegnarsi oggi stesso a vendere al verificarsi delle condizioni di legge mentre l’ente pubblico è soggetto alla volontà dei suoi mutevoli organi deliberanti. Cosa dunque postula un aeroporto che non è ancora in esercizio ma che ha tutte le carte per esserlo? Questo limbo, nel quale l’aeroporto vale poco perché non c’è ma vale molto perché è pronto ed ha i documenti a posto, è l’ideale per trattative con parti private. Ma il suo destino è legato sempre più a quello di Catania, che invece è del tutto pubblico. La Sac alla fine si è fatta un giano bifronte, ma nello stesso tempo il nodo decisionale.
Tenere Comiso in sospeso per anni, come è successo finora, potrebbe dunque avere avuto uno scopo preciso: aspettare che mutassero gli equilibri interni alla Sac per farne un unico pacchetto in vendita, Fontanarossa-Magliocco. Ma Gambuzza, mettendosi di traverso, ha fatto saltare i piani. E per di più, dopo tante attese, la firma della convenzione pare sia diventata questione di giorni – a stare a quanto ha fatto sapere Alfano, che però troppe volte ha annunciato l’epilogo per essere davvero credibile. Se si arriva alla convenzione, la partita non è comunque chiusa affatto. È vero che si è innescata una gara contro il tempo, ma le possibilità del fronte dei privatizzatori si vanno riducendo. La prossima assemblea dei soci Sac potrebbe ratificare l’elezione di Giannone rendendola definitiva. Ma nemmeno questo atto farà abbassare il sipario. I sostenitori della privatizzazione hanno programmi lunghi: più tempo passa e più il valore degli aeroporti si accrescono. A ben vedere, la vicenda della Soaco integra una progressiva presa di possesso da parte della Intersac (inizialmente costituita tra la Sac e Interbanca e oggi partecipata anche dal Gruppo Ciancio) che negli anni ha via via versato l’incredibile somma di 24 milioni di euro, un atto enigmatico perché compiuto in presenza di tali e tante incognite circa l’evoluzione del progetto e la sua buona riuscita da rendere l’investimento estremamente aleatorio.
Quali interessi, se non reali, certamente potenziali, vide quindi l’Intersac nella realizzazione di un aeroporto che nei fatti potrebbe rivelarsi concorrenziale a Fontanarossa? Escluso che volesse procurare un danno a se stessa, essendo la Sac azionista di maggioranza, progetto della Intersac non poteva che essere l’abbinamento dei due aeroporti. Questo programma si è in pratica realizzato. Non si parla più di Magliocco senza chiamare Fontanarossa. Con la differenza, data dalla storia del primo, che l’aeroporto di Comiso è stato concepito come una infrastruttura privata, tanto che tale è infatti giudicato dall’avvocatura dello Stato che continua perciò a negare l’intervento finanziario per lo start up.
Dopo aver erogato 24 milioni, altri tre per aprire l’aeroporto sarebbero gli spiccioli per Intersac. Che però rimane ferma. Anzi ad agosto ha minacciato un’inopinata azione risarcitoria contro il Comune di Comiso attraverso la Sac: cioè attraverso se stessa e contro dunque se stessa. Un’iniziativa che nessuno ha capito: possibile che l’aeroporto di Catania ingiunga all’aeroporto di Comiso di darsi una mossa e mettersi a lavorare? Possibile solo se il futuro del primo è legato a quello del secondo. Ed è legittimo vedere i due scali non in concorrenza ma in un’ottica congiunta. Probabilmente tesa a un progetto di cessione.
Solo questo obiettivo giustificherebbe la montagna di soldi scuciti da Intersac, ciò che non può che prefigurare una montagna di soldi ancora più grande. E quale affare può essere più remunerativo, promettendo guadagni di gran lunga maggiori di una difficile gestione, se non la vendita degli aeroporti riuniti Fontanarossa-Magliocco in un’unica offerta?
Ma perché ciò possa succedere è necessario che la Sac sia posta sotto controllo, cioè “normalizzata”; Un deterrente è invece costituito dalla presenza del Comune di Comiso, ben tutelato da ferrei patti parasociali. I privati vogliono avere a che fare solo con altri privati. E, per stare in Sicilia, l’esempio dell’aeroporto di Trapani Birgi, rimasto poca cosa e nelle pesti proprio perché in mano pubblica, dimostra che non può esserci privatizzazione stando così le cose. Intanto le Camcom di Ragusa e Catania sembrano aver fiutato l’aria. Dietro lo scontro tra gambuzziani e oppositori se ne sta svolgendo un altro a ben più alto livello e molto meno appariscente. Chi va ragionando sul significato da dare agli avvenimenti degli ultimi mesi, al di là delle dichiarazioni politiche e di prassi macroenomica, si chiede se si tratti di fantafinanza e soprattutto chi possa essere il reggitore di tutte le fila.
Chi, avendo agganci con grandi potentati finanziari anche internazionali, capaci di interventi così cospicui, può oggi essere in grado di condurre trattative di privatizzazione talmente difficili? E chi divide con Riggio la stessa visione positiva circa la privatizzazione degli aeroporti? La risposta è facile: colui che ha brigato e sta brigando per controllare la Sac e che nella Camcom di Ragusa come in quella di Catania sta introducendo cavalli di Troia che nascondono guerrieri mascherati da consiglieri. Ivan Lo Bello è in realtà l’uomo ideale per condurre in porto un’operazione del genere.
Ma potrebbe non essere il solo o non da solo. Sopra di lui potrebbe muoversi qualcuno che diversamente da lui possa essere magari un imprenditore, con i suoi agganci e le sue cordate. Il nome che circola è quello di Mario Ciancio, i cui rapporti con Ivan Lo Bello sono sempre stati splendidi ma che negli ultimi tempi (dopo l’uscita di Lo Bello sui centri commerciali e i loro artefici legati ad ambienti mafiosi) sembrano essersi raffreddati. Pretattica? Forse. Entrambi continuano a essere insieme per esempio nel consiglio dei garanti della Kore.
Ma perché non operare alla luce del sole, se le cose stanno come sembrano? Anche se si tratta di programmi che vengono da lontano e devono aspettare ancora molto, non è affatto detto che i due aeroporti, una volta gestiti da privati, non producano risultati superiori a quelli della proprietà pubblica. Dopotutto a gettare le basi per una prima privatizzazione del Magliocco è stato proprio il Comune di Comiso.