sabato 7 dicembre 2013

Andavamo in Via XX Settembre


Ha fatto un gran bello sforzo di memoria ed ha avuto piuttosto coraggio l’autrice palermitana Simonetta Agnello Hornby di cui scopriamo adesso un’anagrafe agrigentina, al punto da sospettare che sia più questa che quella la sua origine - ma lei preferisce sentirsi e presentarsi solo una palermitana.
Lo sforzo è nell’acribia-acrisia di un formidale esercizio della memoria autobiografica, il coraggio è nello svelare parti riservate della propria vita.
Raccontarla, quando soprattuto essa riguarda l’infanzia e l’adolescenza, comporta il recupero di un mito che ha scaldato e nutrito il neorealismo italiano e che, apparendo oggi del tutto fuori tempo, si offre a una riflessione nuova: la violazione di un crisma moderno, quello della privacy. La Agnello Hornby è proprio al modello della confessione e della rivelazione che si ispira nel suo ultimo romanzo, XX Settembre (Feltrinelli) che riesce meglio come diario: di quel genere che Brancati preconizzò quale cifra a venire degli autori siciliani, azzeccandoci quanto almeno alla Agnello. La quale, reduce da Un filo d’olio (già esso stesso un romanzo diaristico, ma sotto la specie della memoria gastronomica, dove cucina in Sicilia è sempre stata sinonomo di casa), ha voluto scavare nel proprio passato e in quello della sua famiglia revolvendo uno scorcio della storia della Sicilia che incrocia quella biografica attraversando vicende, epiche e stagioni storicizzate eppure ancora vivissime: il boom economico, la riforma agraria, l’insorgenza mafiosa, la Palermo del primo sacco, la condizione economica e sociale di un’isola che scopre il Nord dove emigrare e i primi elettrodomestici con cui convivere.
Ma la Agnello non si limita a rialbeggiare un’epoca di vita collettiva. Fa molto di più. Si confessa, appunto, mettendo in piazza i panni di casa. Non solo rivela, per esempio, che un libro come La saggezza dell’India, avuto in regalo a tredici anni da zio Peppino, ha instillato in lei “un’educazione sessuale a dir poco liberale”, ma spiattella la cattiva concezione del matrimonio avuta dal padre, fedifrago impenitente e impudico recidivo, amante di una donna sposata che lo trascina nel bel mezzo dello scandalo Tandoj, il commissario di polizia ucciso ad Agrigento e causa del primo omicidio borghese aduggiato dalla mafia.
La Agnello guarda al padre con occhi di un’adolescente non rinserrata entro i modelli di costume siciliano, forse già protesa a sprovincializzarsi e desicilianizzarsi nella prospettiva di emigrare in Inghilterra, ma con disincanto e solo una punta di biasimo. Anziché disprezzarlo, la piccola Simonetta nutre per il padre rispetto e affetto, riconoscente per la condizione di agiatezza economica in cui la fa vivere insieme con la famiglia. Si vede che sin da bambina, la scrittrice era di un’altra pasta che non siciliana. Anche se finora ha solo scritto della sua Sicilia. D’antan.