mercoledì 11 dicembre 2013

Ma quanto costa all'Inda fare cultura?


Perché, pur sapendo bene di non poter essere confermato per la terza volta sovrintendente, Fernando Balestra ha fatto una casa del diavolo per rimanere? Questione di potere, si dirà. Oppure di prestigio. Ma anche di soldini sonanti probabilmente.
Quando fu nominato la prima volta, nel 2004, non passò un anno che con delibera n. 61 del 19 settembre 2005 il Cda dispose che la sua retribuzione fosse di 225 mila euro l’anno. Per tre anni il giornalista Rai in quota Prestigiacomo poté intascare un mare di quattrini, esclusi i rimborsi spesa per circa ventimila euro,  finché il 24 luglio 2008 il ministero dei Beni culturali non ridusse la cifra a 100 mila euro, salvi sempre i rimborsi: che non decideva il ministero ma Balestra. 
L’ordine del ministero impartito al nuovo Cda fu quello di deliberare l’adeguamento, senonché la nuova retribuzione risultò fissata in 145 mila euro (45 mila euro in più: per dispetto), esclusi  gli oneri previdenziali e 18 mila euro di rimborsi spesa. A questo punto era naturale attendersi un drastico e risentito intervento del ministro, che in effetti intervenne. E che fece? Non impose il rispetto della sua stessa volontà (100 mila avevo detto e 100 mila devono essere), ma il 28 maggio 2009 portò i 145 mila a 130 mila. La cifra è rimasta valida fino a tutto il 2012, sebbene nel 2011 il trattamento del sovrintendente è stato ridotto del 5 % per effetto della spending review, ma si è trattato di poco tempo perché nel 2012 la Consulta ha dichiarato la riduzione incostituzionale.
Le somme intascate dal sovrintendente, con grande gioia del Cda che lo ha sempre sostenuto, sono di gran lunga superiori a quelle dei consiglieri che nel 2011 hanno avuto solo 6580 euro. Ma anche il consigliere delegato impallidisce con i suoi striminziati 33 mila 210 euro annui. Quanto al presidente, che uno si immagina chissà quali cifre prenda, niente: solo 250 euro a seduta. Fatti i conti, nel 2011 il sindaco ha portato a casa per sette sedute la miseria di 1750 euro lorde. Manco a farlo: e infatti Visentin se n’è andato vagheggiando - solo vagheggiando - le ben diverse indennità della Camera.
In sostanza all’Inda solo il sovrintendente può avere qualche motivo per dichiarare guerra anche al ministro, come infatti ha fatto Balestra, penna in resta. Il quale sovrintendente non gode - o almeno non godeva - dei soli rimborsi. Risulta per esempio che nel 2007 avesse una carta di credito intestata all’ente, con la sua firma depositata. Non deve averla tenuta esattamente in un cassetto se il 20 febbraio 2007 i revisori gli ingiunsero per iscritto di dare loro conto del suo utilizzo, che evidentemente non fu considerato proprio da spilorcio. 
A fare un po’ di raffronti, risulta che mantenere un sovrintendente costa all’Inda  suppergiù quanto fare pubblicità. Nel 2011 la cosiddetta “promozione” (dalla cartellonistica alla fantasmatica “pubblicità dinamica”) ha inciso nel 2011 in bilancio per 105 mila euro, 35 mila euro in più rispetto al 2010. Ma ai 105 mila euro ne vanno in verità aggiunti altri 51 mila 650, quasi 10 mila euro in più rispetto all’anno precedente: si tratta del materiale pubblicitario, che evidentemente la fondazione calcola a parte. Per sostenere questo sforzo (che è un po’ come fare pubblicità al pane o alla Coca Cola) l’Inda ha risparmiato addirittura sulle scene, sulla costruzione delle baracche e dei camerini e sul materiale ligneo da costruzione. Non solo: ha dovuto rinunciare totalmente anche a diserbare l’area archeologica, a differenza che nel 2010 quando erano stati spesi addirittura 15 mila euro, come se il teatro greco fosse rimasto abbandondato dal tempo dei Greci. Insomma gli organi dirigenti dell’Inda hanno ritenuto necessario promuovere al massimo eventi offerti in una confezione minima.
Quel che conta in verità, per un istituto nobile e raffinato come l’Inda, è la rappresentanza. Pubblicità quindi. A tempesta. Ma anche bella figura a Roma, dove infatti l’Inda vanta la sede legale. Che per la cassa significa 18 mila euro l’anno di affitto e un dipendente dalle incerte mansioni da pagare.
Poche cose, alla fine. Le spese dell’Inda sono altre e con altri zeri, tant’è che la fondazione non è ancora riuscita a ripianare le passività. Eppure riceve contributi statali e regionali, i più cospicui, che sfiorano ogni anno i tre milioni e mezzo, cui vanno aggiunti i 2 milioni assicurati dalla Arcus di Roma e i ricavi della vendita dei biglietti, che veramente è oggetto di calcoli egiziani variando tra 3 a 5 milioni. La colpa che la Corte dei conti continua a muovere all’Inda è principalmente di non aver saputo incentivare il reperimento di soci sostenitori (l’unica è la Erg che versa 120 mila euro) e soprattutto di sponsor. Insomma, l’Inda, società privata, non sarà mai in grado di fare da sé senza il sostegno di Stato e Regione.