mercoledì 11 dicembre 2013

Quando Bono zittì il Pd con un sofisma


Nel 2009 il consigliere provinciale del Pd Carmelo Spataro (oggi convertito al crocettismo) pensò, per qualche ragione e nel silenzio del suo ex partito, di contestare l’elezione del nuovo Cda opponendo che la fresca nomina di due consiglieri, Monica Centanni e Gianfranco Nuzzo, violavano lo statuto nella parte in cui dispone che un consigliere “può essere riconfermato per non più di due volte”.
Spataro provò a dimostrare che la Centanni, designata dal ministero dei Beni culturali, veniva nominata per la quarta volta e che il palermitano Nuzzo, voluto da Nicola Bono, presidente dell’Ap, cui spettava l’indicazione, era al terzo mandato. Bono rispose per iscritto all’interrogazione sostenendo che proprio lo statuto legittimava la terza designazione di Nuzzo. Spataro si arrese e lasciò cadere la questione, evidentemente convinto delle ragioni addotte da Bono.
Ma come fece Bono, imbonito senz’altro da qualche testa lucida della Provincia, a disarmare il candido Spataro? Con quali argomenti? La risposta che diede fu degna di Gorgia di Lentini e rivelò in Bono un leguleo di sofisticata e sofistica natura del migliore doroteismo. Ricordando che il vecchio statuto, a differenza del nuovo, concedeva che il consigliere in carica potesse essere riconfermato per una sola volta, scrisse che “l’uso del verbo riconfermare, cioè confermare di nuovo, presuppone necessariamente l’esistenza di una prima nomina che prima poteva essere riconfermata per una sola volta, con conseguenti due mandati, e che oggi può essere riconfermata per due volte, con conseguenti tre mandati”. Spataro non seppe che replicare e svariò come un pugile suonato. Eppure avrebbe avuto di che dire. 
Secondo Bono riconfermare significa dunque confermare una seconda volta per cui l’atto di riconferma supporrebbe una conferma, cioè un precedente rinnovo della carica. Il dettato statutario nella frase “ciascun componente può essere riconfermato per non più di due volte” suonerebbe per Bono nel senso che ciascun componente può conservare la nomina, mantenerla per la seconda volta e novarla una terza. Quindi, se avesse voluto indicare un doppio mandato e basta, la norma avrebbe dovuto recitare  così: “ciascun componente può essere confermato per non più di due volte”. 
E infatti ritroviamo, tanto per fare maggiore confusione, ma senz’altro più correttamente, che la Corte dei conti, nelle relazioni sull’Inda, usa proprio tale costruzione semantica: così per esempio in quella del 2010, dove scrive che “i componenti del Cda non possono essere confermati per più di due volte”. Con il rischio però di fare assumere al verbo confermare il significato fuorviante di rinsaldare, giusta la radice latina di confirmo che significa rendo più fermo, cioè consolido e saldo più forte. Dove perciò la parola rinsaldare non postula un concetto di ripetizione ma di fortificazione. Così come ricompensare non vuol dire pagare due volte ma una soltanto. 
E’ vero che il prefisso “ri” comprende in parole come rispedire, rimandare, risorgere o riprendere un’idea di rifacimento dello stesso atto, ma nel caso di riconfermare la dottrina giuridica è concorde nell’accezione comune di mantenere per la seconda volta in carica. Anche il linguaggio giornalistico ha dopotutto adottato questo significato. E lo stesso ministro dei Beni culturali Ornaghi, quando si è trattato di rinnovare per la terza volta il mandato a Balestra, ha detto no proprio perché sarebbe stato appunto un terzo incarico. 
Ma basta poi pensare a Napolitano, riconfermato alla presidenza. Nessuno, per intendere che era la prima volta, disse che era stato confermato: l’avrebbe altrimenti spacciato per un generale di lungo corso. Neppure Bono l’avrebbe detto. Invece l’ha pensato, detto e scritto per Nuzzo. Il quale si è potuto fare così altri quattro anni. Per la terza volta e alla faccia dello statuto.