domenica 15 giugno 2014

La vita è tutta uno spot?


La pubblicità televisiva ha dimenticato il buon gusto e non si fa più scrupolo di portarci in toilette tra assorbenti, preservativi, bombolette contro il sudore, panni per la ritenzione urinaria, carta igienica, fiale anti-età e anti-calvizie, pomate contro la cellulite e le rughe, creme per l'igiene intima, il viso e le mani, il corpo e i piedi, coloranti per i capelli, shampoo antiforfora e bagnoschiuma antiesfoliante, schiume da barba; e aprire poi l'armadietto dei medicinali per offrirci rimedi contro i calli e la pancia, farmaci per la prostata, l'indigestione, l'insonnia, l'alitosi, i cattivi odori, la disfunzione erettile, la secchezza e la candida vaginale, il cerume, le ispettorazioni, gli sternuti, la nausea, il vomito, l'incontinenza, la costipazione, persino la flatulenza; e condurci infine in camera da letto per mostrarci cassetti con dentro mutande ergonomiche, calze avvolgenti, calzini inodore, reggiseni riempitivi, pancere rassodanti. 
Se gli spot di questo tipo ci colgono, come spesso succede, mentre siamo a tavola ci passa l'appetito e ci assale un inevitabile senso di schifo. Di questo passo non vedremo più un dolce bambino seduto sul vasino con un rotolo di carta igienica dispiegato e un cagnolino adorante (come quando la pubblicità rispondeva a un obbligo di tatto, pudore ed eleganza), ma una vecchiaccia bitorzoluta seduta su un cesso di cui ci parrà di sentire la puzza vedendone gli sforzi. E riterremo lo spot efficace e convincente perché realistico. 

Se un tempo la televisione ricorreva all'animazione per affrontare certi argomenti di natura igienica e perciò intima, oggi è del tutto accettato vedere due distinte signore che in ascensore si scambiano confidenze sui migliori metodi per non farsela addosso. O vedere un bel giovanotto alzare le braccia mostrando di non avere aloni nelle ascelle e rallegrando così tante ragazze felici di non vederlo traspirare.

La gestione del corpo diventa per questa via non un'attività fisiologica da espletare in tutta riservatezza ma un impegno pari ad ogni altro che sia reputato necessario per stare in mezzo agli altri con successo. Il giorno in cui ci diranno che ci sono modi e modi (e quindi prodotti reperibili sul mercato e tali da dover essere pubblicizzati) anche per urinare e defecare, non troveremo più ragione per chiudere la porta del bagno e (guardando con attenzione gli spot in Tv) faremo minzioni ed evacuazioni allo stesso modo di come mangiamo e beviamo in pubblico, espellendo anziché ingerendo, ma non trovando in tali funzioni corporali nulla che potrà apparire disdicevole perché la pubblicità ci insegnerà che parlare di etica morale non sarà diverso che parlare di estetica. Del resto è questione di civilizzazione: in certe tribù indigene mangiare è considerato un atto da svolgere riservatamente come andare in gabinetto. Noi invece lo facciamo nei ristoranti e paghiamo pure salato per poterlo fare.
Così il rispetto per la persona decresce in corrispondenza dell'aumentato interesse per il corpo. Gli articoli reclamizzati in televisione non sono più i cosmetici che riguardavano la sfera esteriore del corpo perlopiù femminile, i cosiddetti "prodotti di bellezza" com'erano chiamati, ma si sono estesi a tutti quelli che trattano la parte interna dell'organismo diventando "prodotti della salute", sotto la cui etichetta troviamo secrezioni, stille, umori, acidi, perdite, liquidi e ogni cosa che fuoriesca. Per essere bello fuori, un corpo deve essere dunque sano dentro. Ecco la nuova dottrina dell'essere. Per cui non basta più un bel reggiseno, ma occorre un bel seno, né serve una bella giacca se copre un'orribile pancia.
Questa filosofia di vita deve però fare i conti con un principio di natura immutabile che riguarda il rapporto con il proprio corpo. Da ragazzi l'identificazione con esso è totale. Se non ci si piace ci si camuffa o ci si cambia adeguandosi ai modelli invalenti. Via via che si cresce l'identificazione con esso si allenta: vediamo che il nostro corpo cambia, ci si piace di meno sapendo che è sempre più difficile farcelo piacere come un tempo. Se da giovani si confronta il proprio corpo con quello degli altri e ci si misura, da adulti - e poi ancora di più da vecchi - si confronta il proprio corpo con quello che abbiamo avuto da giovani e sappiamo di non poter più competere. 
Il senso di perdita che questa alienante scoperta adduce - perdita del tempo vissuto e perdita della propria identità, per cui ci sentiamo altri da noi e come sdoppiati: con un corpo che invecchia e una mente rimasta giovane - è diventato l'oggetto di intervento della pubblicità. Che svolge un lavoro effimero, ingannevole, ipocrita, perché non si tratta di tornare al passato e ripristinare funzioni organiche o apparenze fisiche destinate comunque a deperire in un ciclo di processi entropici senza scampo ma con tante disillusioni, quanto di prendere consapevolezza di una condizione ineluttabile e adeguarsi ai suoi peggioramenti progressivi.
Invece di spot avremmo bisogno di massime. Più che consumatori dovremmo sentirci ed essere trattati da persone e anziché essere persuasi circa la bontà di un prodotto in forma di elisir dovremmo essere educati, non dai pubblicitari ma dai filosofi, al piacere della vita e non a una vita di piaceri.