giovedì 11 dicembre 2014

L'antipolitica di Napolitano

Napolitano nel suo discorso all'Accademia dei Lincei

Il capo dello stato ha dichiarato che l'antipolitica è una patologia eversiva, quindi assimilabile al terrorismo, particolarmente di matrice fascista, essendo quello comunista noto come sovversivo. Ed ha tacciato l'antipolitica di antidemocraticità, collegando ad essa il decadimento morale del Paese e l'insorgenza populista, nonché il rischio che si generi violenza. Facendo così una gran confusione.


L'antipolitica, nelle sue molteplici accezioni ed applicazioni, non è antidemocratica, perché il diritto-dovere di partecipare col voto attivo e passivo all'attività politica non è sanzionato ma sancito come una facoltà. L'astensionismo non è dunque un atteggiamento antidemocratico ma un voto di sfiducia sulle proposte politiche avanzate. Se poi per antipolitica si intenda il movimento alla Grillo che combatte l'apparato parlamentare in essere, essa è ancora più democratica trovando nello strumento dell'ostruzionismo e nella libertà di azione del parlamentare la sua giustificazione e legittimazione.
L'antipolitica allora non è che l'effetto collaterale di un male che colpisce la politica come istituzione e non come movimento. Tanto più essa si manifesta ed esercita la sua azione corrosiva quanto più la politica è debole e vulnerabile, dimodoché se un decadimento morale è in atto non è che la conseguenza naturale della fragilità del sistema politico. Una democrazia forte e perciò condivisa non solo non può temere l'antipolitica ma non consente nemmeno che possa prendere piede: sempreché l'antipolitica sia da ritenere un fenomeno da combattere e scongiurare. Invece essa va vista come il medico al capezzale del malato. Dosi massicce di antipolitica rianimano, se non è troppo tardi, una democrazia svegliandola dal suo torpore e dal suo decadimento politico, conferendo a una repubblica che non tema per la sua stabilità ragioni per trovare dentro se stessa le cause dei suoi mali. 
Quindi Napolitano avrebbe fatto bene e meglio a rivolgere il suo commosso monito non agli antipolitici ma ai politici, quelli che hanno la responsabilità di aver appiccato il fuoco alla casa additando poi i nuovi arrivati dell'antipolitica come incendiari senza capire che sono invece i pompieri. Parlare di decadimento morale della politica a motivo della crescita dell'antipolitica è come aprire le porte della città a un esercito arrivato in soccorso e poi massacrarlo come nemico per paura che possa assumere il potere. In altre parole l'antipolitica viene vista nelle vesti del populismo per crearne alla fine un'unica minaccia. 
Il populismo, troppe volte confuso con la demagogia, non è una forma di democrazia deviata dove l'elettorato sia indotto a fare scelte sulla base di argomentazioni deduttive e capziose provenienti da un soggetto affetto del culto della personalità e spinto a farsi duce, ma è la democrazia nella sua essenza massima dove l'esercizio del potere più che un mandato elettorale attribuito a uomini e partiti candidati è un incarico scelto a maggioranza da affidare a un esecutivo scelto a sorteggio. Questa forma di governo è una utopia, rimasta irrealizzata anche nelle antiche democrazie greche, ma costituisce un ideale cui ispirare la condotta generale.
Ai giorni nostri il populismo, di cui espressione sono negli Usa i tea party, i pensatoi e i think tank, è il tentativo di figure come Grillo e Salvini di intestare a un elettorato un programma che in realtà è il loro, in altre parole costituisce un'operazione di ideologizzazione di un movimento eterogeneo e disarticolato per farne un partito, operazione condotta da quanti, leader o élite che siano, hanno un seguito ma non hanno una bandiera da far seguire. 
Rivolgendosi a questi cavalieri brancaleone e vedendo in essi capi di orde distruttive, Napolitano ha inteso lanciare un allarme suonando però la campana sbagliata. Il problema non è l'antipolitica, che in sostanza è un cerotto necessario solo per il tempo che la ferita si rimargini, ma la politica, che è appunto la ferita. Ma, come dice Brancati, noi italiani "siamo soggetti ad ammalarci di noi stessi, un male che consiste nell'essere la febbre e il febbricitante, la cosa che soffre e quella che fa soffrire", per cui vediamo nella politica e nell'antipolitica la causa e l'effetto secondo una formula che abbiamo inventato noi stessi. Napolitano non ha fatto che applicarla.