sabato 9 aprile 2016

Borghi più belli, la Sicilia fa il triplete

Sambuca di Sicilia, "borgo più bello d'Italia" 2016
Il triplete vinto consecutivamente dai Comuni siciliani consacrati “borghi dei borghi” italiani premia quei tre che si sono scommessi di più tra le centinaia di piccoli paesi ognuno altrettanto meritevole dell’alloro.
E riconosce nello stesso tempo alla Sicilia il primato nel combinato di bellezza architettonica, naturalistica e artistica che - abbiamo finalmente scoperto - può ritrovarsi anche nel più appartato entroterra, com’è stato per Gangi, Montalbano Elicona e Sambuca: per modo che, quando fino a soli cinque anni fa i poli turistici di maggiore attrazione erano, oltre i capoluoghi, Taormina e Cefalù, oggi l’interesse maggiore, rinverdito il gusto settecentesco per quel pittoresque che in Sicilia fece gran pompa, è rivolto ai luoghi discosti e ignorati dai circuiti organizzati, da cercare anziché raggiungere, nello spirito di una nuova accezione di turismo culturale che preferisce l’esplorazione, la sorpresa e l’inusitato del paese rispetto al consolidato della città.
In questa chiave l’idea invalente che dietro un contadino si stagli sempre un paese mutua un ritrovato sentimento georgico che dà ragione alla visione utopica della Sicilia proposta massimamente da Elio Vittorini, il cui Le città del mondo, più che gli altri suoi libri odeporici, non è che un viaggio irrelato attraverso la Sicilia dei microcosmi e della campagna, oltre che un codice per stabilire che “una città non nasce come un cardo” e che “più una città è bella e più la gente è buona”. Sicché il ritorno incalzante a un parnaso rurale che fonde storia e virtù varrebbe come precetto per il rilancio della Sicilia dell’interno se però le politiche regionali e comunali si adeguassero a questa nuova e rivoluzionaria prospettiva. Ma così non è, sebbene la cocente sconfitta di città quali Palermo e Siracusa che con Erice corsero nel 2013 per il titolo di capitale europea della cultura avrebbe dovuto bene insegnare che la vocazione della Sicilia riposa, non da oggi, nella valorizzazione del relativamente piccolo nel cui elemento è custodita la natura più autentica e originaria dell’isola. 
Finalmente si è visto, anche se non capito a fondo, che il mondo rurale fatto dei piccoli paesi non è mero e indistinto “spazio” ma viviscente “luogo” dotato di una identità non inferiore a quella urbana, discrimine proprio in forza del quale il fascismo creò in Sicilia 68 “borghi rurali” concependo per i contadini una dimensione che li facesse sentire in paese pur vivendo in campagna. Rientrato con la modernizzazione di strade e mezzi il fenomeno della ruralità, il retaggio si è trasferito nel modello di borgo sinonimo di centro storico e di paese, capace di comprendere un complesso di valori identitari che vanno dalla storia patria al folclore alla cucina e alle tradizioni e che in Sicilia hanno rovesciato il paradigma secondo cui tutto il mondo è paese nel suo contrario per cui un paese è tutto il mondo.
Ma anziché andare incontro a questo processo di mutazione, assecondandone e guidandone le migliori ispirazioni, vediamo gli enti locali con in capo la Regione assistere attoniti alle tendenze di un turismo non sostenuto che si è da sé riconvertito al clima di ricerca per “erbosi fossi” che in Sicilia favoriva il Grand Tour dei viaggiatori europei, tutti perlopiù interessati agli impervi percorsi secondari che non alle più comode vie maestre. Così, se l’Esa ha perso per strada il progetto “Via dei borghi” concepito sette anni fa per legare i borghi rurali fascisti da riqualificare in un unico itinerario turistico di 200 chilometri, la Regione sta riguardando il successo dei “borghi dei borghi” alla stregua di un trofeo finale e non di un’iniziale opportunità per rischierare le proprie politiche turistico-culturali. 
Sennonché quel che di straordinario insegnano le performances di Gangi, Montalbano Elicona e Sambuca, dimostrando un teorema prima inimmaginato, è che la cultura con il suo patrimonio di bellezze vale e vince anche dove non c’è turismo e che è il turismo a dover quindi operare in funzione di essa: mentre da sempre la Regione siciliana si muove nel convincimento che la cultura serve solo se è turisticamente remunerativa, tant’è che le competenze sono del solo assessorato di Via Notarbartolo. Un errore storico e un danno continuo alla Sicilia, che pur contando oltre trecento poli culturali suscita un flusso turistico enormemente al di sotto delle sue capacità di offerta. Finché non sono arrivati i “borghi dei borghi”.

Articolo pubblicato il 6 aprile 2016 su la Repubblica di Palermo