giovedì 21 marzo 2019

La biblioteca di Bufalino che non presta i libri


Fu in questa lunga sala, una delle due che compongono la Biblioteca Bufalino, ricavata nel vecchio mercato ittico, che un anno prima di morire lo scrittore di Comiso ricevette una comitiva di lettori tedeschi venuti con i suoi libri in mano per conoscerlo e fargli domande. Uno gli disse che non capiva il significato di “Asta deserta”, perché del pennone della barca non c’era traccia nelle poesie sotto quel titolo, e Bufalino gli spiegò ridendosela che deserta era da intendersi la vendita all’asta della sua anima. Raffinato traduttore dal francese, diffidava tuttavia delle traduzioni perché riteneva impossibile rendere una metafora in un’altra lingua. Oggi che i suoi libri sono letti in oltre quaranta Paesi e le prime edizioni riempiono un lungo scaffale, forse Bufalino tremerebbe al timore di chissà quanti “qui pro quo” e andrebbe a rivedere pure il coreano e il giapponese: anche perché non è cambiata l’abitudine dei visitatori stranieri di venire a Comiso con i libri di Bufalino nella propria lingua.
Grazie all’aeroporto e al fenomeno Montalbano, gli stranieri sono in crescita, con una maggioranza di spagnoli e inglesi. Si tratta perlopiù di visitatori che sanno cosa aspettarsi e non restano mai delusi, perché è come entrare in casa dello scrittore. Il quale donò tutto: i manoscritti, la corrispondenza, i ritagli di giornale, la biblioteca personale di diecimila volumi, la collezione di dischi e la videoteca. In più la biblioteca offre un fondo che raccoglie le ristampe delle opere, gli scritti critici sull’autore, le tesi di laurea e di dottorato. E forse è presente in spirito lo stesso don Gesualdo – a chi ha occhi per vederlo – avendo egli scelto questo antico magazzino come seconda casa, luogo di incontri personali e dimora diurna, dove anche la salma fu composta e lui compianto.
Epperò non è una biblioteca come le altre. Per volontà dello stesso Bufalino i libri non possono essere dati in prestito, ma solo consultati, così da tenere studiosi e studenti seduti come a scuola e a contatto diretto con il mondo bufaliniano come pure con l’aria professorale che l’ambiente trasmette. Basta per sentirla la massima latina dettata dallo stesso scrittore che campeggia a vista: “Tecta lege, lecta tege” – leggi i libri qui custoditi, custodisci i libri dopo averli letti. E non è una comune biblioteca anche perché Bufalino la concepì come una zattera di salvataggio. A una scolaresca catanese accolta quattro mesi prima della morte disse così: «Sapete qual è l’ex libris dei miei fogli per lettera? Una mano che affiora dal mare con un libro mentre la nave affonda. La cosa più preziosa, da salvare in un’arca di Noè».
L’arca-biblioteca che Bufalino fortissimamente volle ha di sacro appunto l’amore per i libri. Letti, vissuti, chiosati, in mano a un autore che ammetteva il proprio vizio di leggere più impunito di quello di scrivere: gli amatissimi scrittori francesi del bello stile, Chateaubriand e Baudelaire in testa, i narratori italiani degli anni Cinquanta, i poeti come Emily Dickinson e i critici raffinati come Giorgio Manganelli. Si può allora riscoprire Bufalino anche attraverso le sue letture. Nel tempio che è la sua Biblioteca.