domenica 15 maggio 2022

Gli italiani ricalcati di Don Winslow


Articolo uscito su Libero il 14 maggio 2022

Gli italiani non gesticolano più. Almeno secondo Don Winslow, che nel primo romanzo di una nuova trilogia (Città in fiamme, HarperCollins, pp. 544, euro 20,90) fa cadere uno dei cliché più resistenti in America. Li tiene con le mani a posto, ma continua a chiamarli mafiosi. Peter Moretti per esempio, capo della gang in guerra contro quella irlandese, è “il classico mafioso italiano: capelli neri e folti tirati indietro con il gel, camicia nera con le maniche arrotolate per mostrare il Rolex, jeans firmati e mocassini” – figura che, estranea in Italia, evidentemente si è rifatta il look oltreoceano. Non di scherno ma di odio è invece il giudizio sugli italiani in genere nutrito dai “vecchi yankee” di Providence, che li vedono “unti, teste rosse e mangiaspaghetti venuti a rovinare la loro bella città protestante con candele e santi cattolici, effigi sanguinanti e preti che agitavano turiboli pieni di incenso”, tanto più odiosi anche per “il loro cibo puzzolente e i loro corpi ancora più puzzolenti, la loro prolificità incontinente”. In verità gli italiani sono malvisti perché, anche per Winslow, appaiono i più forti, godono della protezione delle “famiglie” di New York e Boston e sovrastano proprio in prolificità neri e irlandesi.

Essendo i più deboli, Winslow parteggia allora per gli irlandesi, quindi eleva Danny Ryan a protagonista del ciclo, facendone un gregario dotato di tutte le qualità per diventare boss ma rimanendo “una brava persona”: tanto brava da buttare in mare droga per un milione di dollari pur di non macchiarsi di un peccato ancor prima che di un reato, tuttavia spietata quando si tratta di uccidere, rapinare, punire. Ricalcato sul profilo di Tony Soprano, che però è di sangue pugliese, Danny guida una sanguinosa guerra contro italiani che sono stati suoi compagni di infanzia e di estati al mare con le famiglie, nonché di feste e affari comuni, vivendo insieme nel clima di quella pace stabilita dai vecchi patriarchi: Moretti senior, che però ora marcisce in carcere, e John Murphy ormai in disarmo. Una pace che dura fino a quando, preso dalle nuove leve il comando delle rispettive famiglie, un Murphy non fa Paride e sottrae a uno dei fratelli Moretti la bella Pamela, americana che nelle sembianze di Elena sottende come pomo della discordia i traffici illeciti nel New England, il vero motivo dello scontro belluino che è conseguenza della vendetta giurata dalla famiglia Moretti unita come Achei e rabbiosa come il più cornificato degli italiani. Ai quali lo scrittore newyorkese (trapiantato in California dove nel 1992, sei anni dopo Providence, nel secondo titolo delle trilogia, ritroveremo anche Danny), tributa rispetto ma nega simpatia, profondendo piuttosto pregiudizi in una chiave, il paradosso, che la retorica anti-italiana made in Usa ama invero molto. 
Qui la ritroviamo nel caso ilarotragico del più temuto ed esperto killer della gang dei Moretti, Sal Antonucci, che tacciato di essere gay diviene perciò, per lo statuto italiano, anche il più deriso e spregevole dei mafiosi: due dei quali, sancisce Winslow, “non si farebbero vedere nemmeno morti in un locale gay”, nel segno dunque del più vieto tabù.
Winslow si diverte a tratteggiare gli italiani saccheggiando un repertorio di idee ricevute oggi evidentemente diffuso nel New England, per modo che – sempre procedendo per eccentricità – concerta che quando Sal Antonucci vuol farsi perdonare da un altro membro della mafia si rende conto di avere esagerato solo dopo che gli torna indietro il cesto-regalo “con prosciutto, bresaola, soppressata, provolone Auricchio, olive di Cerignola, olio di Biancolilla e una bottiglia di chianti Ruffino”: a lasciare intendere che tra connazionali del Belpaese si usa riparare i torti più gravi con i sapori di casa più ghiotti.
Echeggiando anche radicate suggestioni ereditate dal Padrino, Don Winslow scrive un romanzo pensando appunto a un film, del cui genere mutua ritmi serrati, voce narrante fuori campo e improbabilità del tipo della scena in cui Danny decide di uccidere Liam Murphy (il pavido Paride causa della guerra) senonché una classica grimmick cinematografica sventa l’omicidio. 
Il maestro dell’american crime story (che ha annunciato di non volere più scrivere) si conferma allora nel talento dell’“americanata” dove ogni elemento è dovizioso, troppo caricato ed eccessivamente colorato. E conferma un altro dato: cinema e narrativa Usa continuano a tenere un approccio insano alla realtà italiana e soprattutto alla mafia. Prima viene lo stereotipo e con esso il marchio di dagoes. Talché si può dire di Winslow quanto lui scrive della morale dei suoi eroi: “Le cose peggiori che fai, spesso le fai per le ragioni migliori”.