mercoledì 7 giugno 2023

C'è anche il sesso forte in gonnella

Articolo uscito su Libero giorno 1 giugno 2023

Dal momento che le donne hanno sempre fatto la guerra quanto e anche prima degli uomini, con l’Atena in armi della mitologia greca e con la primigenia civiltà matriarcale dove l’uomo era il paredro della dea madre, perché un libro che designa un genere a parte, quasi che possa magari aversi un titolo del tipo “Maschi massai”, come se non lo fossero sempre stati?
La risposta viene dall’autore, Matteo Liberti, che spiega di aver scritto Donne guerriere (Newton Compton, pp. 350, euro 14,90) a “completamento di quelle parti della Storia, belliche e non solo, in cui il ruolo delle donne è stato tanto roboante quanto trascurato”.
Belliche e non solo, dunque. In evidenza è davvero concepibile una differenza tra Penelope e Cleopatra, la prima pur intenta al suo telaio e tuttavia pronta a sfidare i Proci, la seconda regina benché preda dell’amore più tenero? La logica della “quota rosa” applicata nella storia sembra che comunque si stia facendo strada, visto che quest’anno altri due libri diversificano le donne in altrettanti ambiti allo stesso modo originali: l’inglese Katy Hessel ha pensato a una Storia dell’arte senza gli uomini (Einaudi) mentre Eliana Di Caro ha pubblicato un saggio-omaggio sulle prime giudici italiane, Magistrate finalmente (Il Mulino): il segno che l’emancipazione femminile è stata infine storicizzata.
Ma sul significato di guerriere occorre precisarne il campo, perché lo sono senz’altro le donne in battaglia, senonché possono anche esserlo quante si muovono in politica cospirando e arrivando magari al delitto, come nel caso di Medea, che Liberti ignora del tutto, così come fa per una Mata Hari o ancora una Golda Meir o Margaret Thatcher, “donne di ferro” perché pugnaci e in tal senso anch’esse guerriere per il solo fatto di aver esercitato anche un potere militare. Quelle che Liberti chiama “coraggiose donne pronte a indossare gli abiti delle guerriere” sono di fatto anche le stesse che, comprese dall’autore nella sua galleria, hanno combattuto senza alcuna armatura: Fulvia moglie di Antonio per esempio o la regina sciita Tomiri e anche la “Tigre di Forlì”, Caterina Sforza, che dagli spalti della città assediata si alza le vesti per mostrarsi nuda ai congiurati che vogliono ucciderle i figli: “Fatelo, ho qui lo stampo per farne altri”. Di qui allora anche le tante combattenti che hanno sostenuto ideali e ideologie con il pennello o la penna facendo allo stesso modo la storia: da Saffo a Ipazia a Artemisia Gentileschi, tutte figure stranamente ignorate dall’autore.
Il novero delle donne coraggiose è in verità assai vasto, per modo che Liberti lo ha circoscritto a quante si sono distinte con la forza e le stesse qualità degli uomini. Ne è sortito un libro ricco, di piacevole lettura, girato su un registro narrativo piano e discorsivo, capace peraltro di offrire per ogni figura la fortuna postuma nell’arte, nella letteratura e nel cinema. Ordinato secondo una disposizione tematica che però tiene conto dello svolgimento diacronico, il bel lavoro di Liberti si propone anche come storia dell’emancipazione della donna nel mondo non solo occidentale. In più dà conto del contesto storico circa gli eventi che fanno da sfondo alle gesta muliebri, dacché integra anche un manuale di storia generale a uso di appassionati come di curiosi, da leggersi anche a brani scuciti scegliendo l’epoca e la regione teatro dei fatti. Si scopre così che il più delle volte a una eroica impresa di una donna guerriera come Zenobia, regina di Palmira, o le sorelle Trung del Vietnam di inizio secondo millennio, segue la loro caduta per mano di uomini resi più agguerriti dalla volontà di prevalere sulle donne, come fu per Artemisia, generale della flotta persiana contro Atene, o Boudicca, regina dei Celti in rivolta contro Roma.
Ma non ci sono nella storia solo donne solitarie alla Giovanna d’Arco. Liberti dedica un ultimo capitolo a quelle fazioni che hanno visto donne unirsi per avere più forza: le “streghe della notte” per esempio, tiratrici scelte sovietiche che furono l’incubo dei nazisti, o i “battaglioni femminili delle morte”, gruppi anch’essi di russe in azione nella Grande guerra, fino alle odierne “Unità di protezione delle donne”, nate per proteggere l’integrità e l’identità curde. Siamo ai giorni nostri, un tempo nel quale le donne indossano uniformi e pavesano gradi militari, con sempre maggiore assimilazione al “sesso forte” e ancor più tenacia per essere non un’eccezione com’è stato fino a ieri. E Liberti infatti può chiudere il suo libro con questa presa d’atto e di coscienza.