venerdì 21 luglio 2023

Rossitto, il leader dei braccianti che infiammò il Pci ibleo

 Quanto la sinistra deve a Feliciano Rossitto il suo zoccolo ibleo? Disse di lui a Ragusa Pio La Torre: il dirigente comunista più popolare della provincia ha il merito di aver allestito la più forte organizzazione di partito in Sicilia. Secondo Francesco Renda, Rossitto rifondò addirittura il Pci isolano.

Di più. Quanto l’agricoltura trasformata iblea è debitrice di Rossitto? L’alfiere delle lotte per l’imponibile di manodopera fu infatti anche il padre della legge sulla serricoltura. Rossitto scrisse il testo di getto, in campagna, dopo che il segretario dei braccianti Salvatore La Cognata lo portò a vedere sorgere le prime serre. C’erano stati una gelata devastante, una manifestazione con ventimila contadini e diciassette giorni di sciopero per il contratto di compartecipazione. Era il ’63 e Rossitto era appena diventato deputato.
Più che confidare nelle possibilità dell’industria in provincia di Ragusa (uscita in ginocchio dalle disillusioni della Gulf) Rossitto credeva piuttosto nelle potenzialità disattese dell’agricoltura. Di fronte alle masse contadine la cui conduzione, come disse Pietro Ancona, “era una ingiuria come atto morale”) Rossitto diede prova di come la politica possa essere messa al servizio della gente invece che di se stessi o del partito. Riprese la bozza del comunista Rosario Iacono, affossata dalla sordità della classe politica siciliana e, scavalcando anche il Pci, contattò tutti i capigruppo prospettando una proposta di legge unitaria. Fu così che ottenne la legge 26 rinunciando noncurante al proprio nome in calce al testo legislativo.
La vita di Feliciano Rossitto ebbe nel quindicennio ragusano il suo fondamento. Il segretario nazionale della Federbraccianti, divenuto segretario confederale della Cgil, fu proprio a Ragusa che si formò. “su una lambretta con un fasciacollo e senza cappotto. Come tanti storici sindacalisti siciliani del Secondo dopoguerra, Rossitto amava il rapporto con la gente. L’andava a trovare fino a Monterosso, fino a Giarratana, oppure al bar di Ciccio u magu o al al caffè Giampiccolo di Ragusa. E tornava nella sua pensioncina in Via Ecce Homo a notte fonda con i brividi che la sua tubercolosi di moltiplicava senza però riuscire a fiaccarlo. Pur avendo connaturata in sé l’eccezionale dote appartenuta a Di Vittorio che lo faceva essere al tempo stesso dirigente di partito e dirigente sindacale, Rossitto dimostrò nei fatti di avere una visione soreliana della politica, preferendo i rapporti di massa che gli consentiva il sindacato ai negoziati ristretti e diplomatici che gli imponeva la logica di partito.
Quando fu eletto segretario della Federbraccianti aveva vent’anni e una leggera balbuzie. I contadini erano perplessi e dicevano che “non si esprimeva bene”. Ma si ricredettero presto e tutti, constatando come Rossitto fosse di una intelligenza superiore che non concedeva ostacolo alla propria autorità. Si vedeva che sarebbe arrivato molto lontano. E forse per questo ci fu chi provò a impedirgli i primi passi.
Dopo l’esperienza d’esordio alla Camera del lavoro di Comiso, promosse quelle che chiamava “riunione di caseggiato” e quando gli uomini erano fuori “per la settimana” parlava alle sole donne. Che considerava lavoratrici nella veste di casalinghe più che in quella di spigolatrici. Diceva loro che “il lavoro lo conquista tutta la famiglia”.
Non fu la sola priva di lungimiranza che diede. A differenza di Saro Iacono (che ammetterà la propria miopia), ebbe chiaro che i coltivatori diretti non potevano essere lasciati fuori né dal sindacato né dal partito. Pio La Torre avrebbe chiamato questo errore del Pci siciliano “limite di classe”. Un limite che costituì la prima versione del Fattore K in formato siciliano: “la ristrettezza della visione dello schieramento delle forze motrici dello sviluppo siciliano”.
Fu proprio Rossitto a costituire a Ragusa una federazione autonoma di coltivatori diretti, precorrendo tutti i tempi. Era successo che ad affittuari e mezzadri erano pervenute spropositate ingiunzioni di pagamento per i profitti di guerra. Benché fossero iscritti alla Bonomiana, i contadini si rivolsero a Rossitto perché la Dc aveva risolto che gli intrallazzi fatti col grano andassero pagati senza remissione, Rossitto colse al volo l’occasione: sposò la causa dei coltivatori diretti e costituì una federazione autonoma a capo della quale mise un democristiano baciato dalla fortuna, Carmelo Antoci. E sarebbe stato proprio questo Antoci, con il beneplacito anche di Nenni e Togliatti, a essere eletto deputato regionale come indipendente. Con i voti dei coltivatori diretti dc e dei braccianti comunisti. Un capolavoro politico.
Geniale anche il tiro al circolo “9 Aprile 21”, meglio conosciuto come “circolo dei ceci” per la larga mano di Lupis. La Federbraccianti aveva bisogno di un circolo e mise gli occhi su quel ritrovo, proprio in Piazza San Giovanni, che ad averlo in pugno sarebbe stato come sferrarne uno a Lupis, partito socialista e tornato amerikano. Rossitto mandò, un giorno uno e un giorno l’altro, la bellezza di quattrocento braccianti a iscriversi. Quando si votò per il rinnovo del consiglio di amministrazione fu un gioco conquistare la maggioranza, Ma per Rossitto non fu per niente un gioco districarsi in politica nel suo stesso partito.
Teorico che non disdegnava l’azione, quando si trattò di organizzare il primo sciopero dei braccianti per strappare al prefetto il decreto sull’imponibile di manodopera, fu lui a dirigere il picchettaggio. Mandò di posta alle uscite di Ragusa militanti camuffati da braccianti. Al sopraggiungere della polizia, i finti contadini dicevano di aspettare i carri dei compagni per andare insieme in campagna. Appena un carro arrivava montavano sopra e, con le buone o meno, convincevano i contadini a tornare indietro.
Un’altra volta, di fronte all’ordine del questore di non creare assembramenti in piazza, suggerì ai braccianti di passeggiare da soli da un punto all’altro di Piazza San Giovanni sotto gli occhi dei polizia e carabinieri che non riuscirono a trovare, tra mille dimostranti, due soli che potessero dirsi in compagnia.
In realtà Rossitto primeggiò come impareggiabile organizzatore. Con tutta la Federterra, il giovanissimo studente di Giurisprudenza insedia in ogni paese, oltre alle leghe comunali, anche organismi di sua ideazione, cioè comitati di agitazione formati da quaranta attivisti che egli ama chiamare “i quaranta spietati”. Quando divampano le lotte per l’applicazione dei decreti Gullo-Segni sull’assegnazione delle terre incolte e malcoltivate, Rossitto capeggia l’occupazione dei fondi del conte Lanza, del marchese Arezzo, del barone Mormina e non ha timore di denunciare su “La Voce del popolo” le intimidazioni di campieri e soprastanti che posano a mafiosi, mentre in tutta la Sicilia i sindacalisti cadono uccisi.
Varata la riforma agraria siciliana, Rossitto si batte per la sua applicazione, ma il suo nome, nel campo delle battaglie per il miglioramento delle condizioni dei contadini rimane certamente legato alla lotta per l’imponibile di manodopera. Un dato per tutti: mentre a Palermo la Federbraccianti non riesce ad andare in un anno oltre le ventimila giornate lavorative, a Ragusa i braccianti ne ottengono ben 450 mila, ciò che consente di tenere a freno l’esasperazione dei disoccupati e di contenere le dimostrazioni di piazza, quindi anche i morti. Ma non mancano né sangue né manette. Sono i tempi in cui le Camere del lavoro rimangono aperte anche di notte.
In forza dei risultati conseguiti, Rossitto guadagna meriti che non sfuggono ai quadri regionali comunisti. Dopo un’esperienza da segretario del Pci a Ragusa, viene quindi chiamato nella segreteria regionale del partito, da dove torna presto nel sindacato occupando la carica di segretario regionale della Cgil. Ma rimane legatissimo a Ragusa.
Quando perciò il Pci valuta a livello regionale l’opportunità di portare all’Ars un deputato che venga dal sindaco, la scelta non può che cadere su di lui. Il Pci siciliano trova naturale candidare Rossitto nel collegio di Ragusa, visto che peraltro Iacono si è ritirato anche per motivi di salute.
A quel tempo i quadri dirigenti del partito ibleo si chiamano Virgilio Failla, Guglielmo Nicastro, Filippo Traina, Saro Iacono. Ma non sono un corpo unico, perché il Pci ibleo appare una grande montagna con due versanti: quello vittoriese e quello ragusano., C’è un esponente comisano, Giacomo Cagnes, chiamato da tutti Nicola, che aspetta da anni di essere candidato. Nel ’63 ritiene giunto il suo momento e il partito è d’accordo. Ma quando arriva l’imposizione da Palermo di preferirgli Rossitto, Cagnes si ribella e trova a sostenerlo la parte vittoriese del partito. Invece che rispondere “obbedisco”, irridendo ai ferrei dogmi del centralismo democratico pretende e ottiene la candidatura. Arriva, in sede di comitato federale provinciale, vicinissimo all’espulsione, richiesta a gran voce dalla parte ragusana del Pci, ma è la federazione che decide, Comune per Comune e sezione per sezione, a chi debbano andare i voti comunisti. Il partito dispone insindacabilmente promozioni e bocciature. La spaccatura interna, che si traduce peraltro in una scandalosa disobbedienza nei confronti del livello regionale, ha effetti pesanti su una base profondamente turbata. I massimi dirigenti provinciali prendono posizione per uno dei due schieramenti. Cagnes aveva sostenuto Traina contro Iacono, per cui il vittoriese Traina lo appoggia contro Rossitto. A Traina si aggiunge addirittura il secondo candidato, Guglielmo Nicastro, vittoriese anch’egli, mentre il leader provinciale, Virgilio Failla, prova una impossibile mediazione schierandosi con Rossitto ma rimanendosene di fatto defilato.
Lo scontro elettorale è duro e i risultati nel sono la prova: Rossitto vince nella zona ragusana, Cagnes in quella vittoriese. Così Rossitto, il più grande dirigente comunista che Ragusa ha mai avuto, arriva all’Ars sull’onda di una imbarazzante guerra intestina. Che viene combattuta con tutti i mezzi, come farebbero due partiti avversari: volantini nell’area di influenza ostile, manifesti coperti, comizi boicottati. A Chiaramonte un quadro locale, certo Angelica, viene addirittura pagato perché non sostenga Rossitto. Il quale ottiene l’elezione, va a Palermo deputato e dopo pochi mesi si dimette peer tornarsene tra i suoi contadini, pronto per andare a ricoprire a Roma la carica di segretario nazionale della Federbraccianti. Dando a tutti e soprattutto ai suoi cari compagni di partito una grande lezione di vita.