Caro Beppino,
forse bisogna essere nei tuoi panni per capire quanto ci sta succedendo: a te, a me e a ogni coscienza, tutti rosi dal dubbio e privi di ogni certezza. Ma per capire ancora meglio occorre essere nei panni di Eluana, perché è lei sull’ara e non tu.
Immaginarsi al suo posto prima che al tuo non è un imperativo morale ma un impulso automatico. Che però nessuno sta avendo. Tutti ci ritroviamo compenetrati nel tuo dolore, perché è te che vediamo soffrire mentre di tua figlia non abbiamo che foto di molti anni fa che nulla ci dicono di quello che è oggi. Abbiamo la tua presenza e di lei abbiamo la sola assenza. Sappiamo tutto di te e nulla di lei: com’è fisicamente, se muove un mignolo, se schiude una palpebra, se suda o perde qualche lacrima. Sensibili alle tue pene, ti stiamo curando mentre i medici si preparano a non curare più lei.
Immaginarsi al suo posto prima che al tuo non è un imperativo morale ma un impulso automatico. Che però nessuno sta avendo. Tutti ci ritroviamo compenetrati nel tuo dolore, perché è te che vediamo soffrire mentre di tua figlia non abbiamo che foto di molti anni fa che nulla ci dicono di quello che è oggi. Abbiamo la tua presenza e di lei abbiamo la sola assenza. Sappiamo tutto di te e nulla di lei: com’è fisicamente, se muove un mignolo, se schiude una palpebra, se suda o perde qualche lacrima. Sensibili alle tue pene, ti stiamo curando mentre i medici si preparano a non curare più lei.
Dici che è impossibile immaginarsi Eluana perché è come morta 17 anni fa e che sentirci al suo posto equivale a evocare la morte? Eppure la sua data di morte non sarà quella dell’incidente stradale ma quella che verrà certificata una volta realizzate le condizioni che comunemente accettiamo come clinicamente e giuridicamente valide per dichiarare il decesso di qualunque essere umano, cioè la cessazione di ogni funzione vitale.
Molta gente, e io per primo, ci immedesimiamo nel tuo tormento di padre impotente e arreso, stanco e oppresso. E ragioniamo come chi vede un figlio sbranato dai lupi: si augura che muoia presto e senza soffrire. Ma nessuno muore senza dolore, perché basta una frazione di secondo di cruda coscienza a renderci manifesto l’orrore della morte, una frazione sufficiente a procurarci il più insopportabile dei dolori fisici e il più grande sgomento. Ci dicono che Eluana non ha mai avuto un attimo di recondità lucidità, un barlume che gli abbia rivelato l’abisso, un momento in cui si sia resa consapevole del dolore fisico e del suo stato. Ma immagina che sia avvenuto anche solo una volta: sarà bastata non solo perché possa ripetersi ancora ma anche perché in quel fugacissimo stato di coscienza più o meno piena sia stata colta da un anelito di speranza, da un soffio di fede, dal balbettio di una preghiera.
I medici escludono qualsiasi momento di lucidità anche nelle forme di una parvenza. Per i medici tua figlia è un vegetale. Eppure ci sono altri medici che sostengono non solo la possibilità remotissima che esca dal coma (con un miracolo, con il miglioramento della ricerca scientifica, con un risveglio spontaneo, come è già successo in altri casi) ma che il suo corpo accusi il dolore e lo avverta, sia pure alla stregua di una pianta, come mera sensazione fisica. Ci basta questa ipotesi per metterci davanti al dubbio che Eluana sia un essere inerte e artificiale.
Ma mettiamo che davvero Eluana sia ridotta a un vegetale incosciente, indifferente a qualsiasi accanimento terapeutico come anche a qualsiasi procedura di spegnimento delle sue funzioni vitali com’è quella, barbarica, di ridurle l’alimentazione fino a farla morire di denutrizione: un supplizio più che una dolce morte. Mettiamo che Eluana non senta davvero niente: se è un’entità reificata che non ha coscienza alcuna del suo stato e che quindi non conosce nemmeno il suo destino, né il dolore né l’angoscia, perché toglierle l’unica cosa che le è rimasta, cioè la vita o quella che comunque va sotto la categoria di esistenza vitale? Perché non può continuare a mantenersi in questo stato fino alla morte naturale? Perché questa fretta di accorciarle l’esistenza?
Perché privarti di lei, Beppino?
Non c’è che una spiegazione: perché ti è divenuta un peso insopportabile: non solo in termini di assistenza, di sacrificio, di impegno anche finanziario; ma anche perché ti fa male in maniera ormai indicibile continuare a vederla così, nella convinzione che nulla potrà cambiarla. Ma il giorno in cui non ci sarà più, il giorno in cui avrai riguadagnato la tua libertà e ripristinato l’esercizio delle tue attività quotidiane, cui hai sacrosanto diritto, il giorno in cui tornerai a vivere, l’assenza di quel corpo anche solo da guardare, di quella testa da accarezzare, di quella presenza, del suo odore, delle sue cose, non sarà ancora di più motivo di tormento? Riuscirai, ogni giorno della tua vita, ad accettare che un tuo attimo di serenità sia il frutto della sua mancanza e che sei rinato al prezzo della sua inesistenza? Resisterai alla sua assenza non avendo più nulla di lei che abbia il senso di una realtà tangibile?
Perciò mi domando se tenerla nello stato vegetativo attuale non sia per te un lenitivo, una terapia contro il dolore, la perdita, la morte, il buio: una terapia che farà bene a te come anche a noi, perché Eluana oggi appartiene a tutti. Ce l’hai consegnata come una prova della nostra forza contro le tentazioni del nulla. E’ il nostro agnello.
Non avrai da lei né un grazie né un’accusa se la terrai qui. Nemmeno se la darai alla morte ti ringrazierà o ti odierà mai. Lei è fuori gioco. Noi no. Né tu né io, né tutti gli altri, caro Peppino. Saremo con te i suoi salvatori o i carnefici, secondo la tua volontà. Insieme saliremo sul patibolo, perché nessuno di noi è innocente. O scenderemo dalla croce seguendo la vita. Oggi sei tu il nostro messia.