mercoledì 5 marzo 2014

Il gioco delle tre rivoluzioni e dei destini incrociati


 

Imprimendo alla sua azione di governo una velocità che ha significato un vorticoso slideshow di iniziative, progetti e programmi, il premier Renzi (già sindaco di Firenze e attuale segretario nazionale del Pd) ha inevitabilmente dato rapidità vertiginosa anche a svolgimenti politici che, in un altro contesto, si sarebbero spalmati nel tempo, raffreddandosi anziché surriscaldandosi.
Le spinose questioni riguardanti la riforma elettorale, la soppressione del Senato, le elezioni anticipate, la tenuta della maggioranza, la crisi economica, il job act e i prossimi scenari quali Europee e semestre Ue, avrebbero consigliato ad un altro leader tutt’altro che una compressione e una reductio ad unum, ma Renzi invece di affrontarle con la tattica degli Orazi contro i Curiazi ha scelto l’assalto alla baionetta in campo aperto, preferendo perciò l’urlo di guerra che incuta terrore al tacito appostamento, ben consapevole che l’arma che lo ha reso eroico pavesandolo dell'aura di invincibile è il coraggio: quello che sta infatti dimostrando nell’affrontare emergenze ostili con cui altri si sono mostrati circospetti temporeggiatori e che qualcuno potrebbe chiamare incoscienza e intemperanza figlia della giovane età. Ed è questo indistinto carattere di impavido cavaliere che Renzi conta di far valere, affidandosi anche alla fortuna finora ben piazzata al suo fianco.
Puntando dunque sul piatto l’intero suo patrimonio, costituito da un’intemerata volontà dell’ottimismo, Renzi si è lanciato in una scommessa nell’attesa del cui esito si è intanto mutato da giocatore in giocoliere accrescendo quindi il rischio che ci mandi tutti a sbattere. La sua strategia è fondata sull’effetto sorpresa, che se è vincente in ogni guerra è determinante agli effetti mediatici, molto più redditizi di qualsiasi decreto. Ne sa qualcosa papa Bergoglio. Così, invece di andare a Bruxelles o a Berlino per la sua visita ufficiale d'esordio all’estero, sceglie Tunisi dove prima che il presidente tunisino incontra una blogger conosciuta al tempo delle primarie con Bersani. E anziché affrontare di petto e per primo l’enorme problema del lavoro e del cuneo fiscale, sul cui crinale tutti aspettavano di vederlo anzichenò incalzare, muove invece inopinatamente dalle rovine dell’edilizia scolastica e gira città, volando da Treviso a Siracusa (oculatamente e geograficamente scelte in funzione di una personale polital correcteness che gli suggerisce di rifare l’Italia cominciando, populisticamente, dai bambini invece che dai sindaci, dopotutto suoi simili), per sperimentare un principio di politica comparata: quando si vuole conquistare la piazza, la tecnica del wishful thinking, del progetto oggettivamente irrealizzabile, pari a un pio desiderio, è sempre la più facile e remunerativa. 
Infatti la trovata di promettere scuole nuove in ogni città, purché ne abbia indicata in ciascuna una che meriti un suo intervento, è il remake del primo atto di Berlusconi premier quando promise un milione di posti di lavoro. Né l’uno né l’altro possono pensare che basti un po’ di demagogia e di credulità popolare, oltre che un certo appeal personale, per risolvere problemi pluridecennali che richiedono innanzitutto soldi, molti soldi. Ma tutt’e due sanno bene che gli italiani hanno un male oscuro che si chiama culto della personalità e sono pronti a credere, obbedire e combattere una volta per il re, un’altra per il duce, un’altra ancora per il papa e infine per un presidente che sia come nei teleromanzi: bello se non ricco, guascone se non puttaniere, ardimentoso e un po’ malandrino. Gli italiani impazziscono per tipi del genere, cioè per gente come Berlusconi e Renzi. I quali, non a caso davvero, si sono annusati e piaciuti subito mettendo per iscritto una legge di riforma elettorale che nemmeno due commissioni parlamentari e cento pensatoi oltre che saggi e patriarchi di ogni provenienza sono riusciti solo a immaginare. Dimostrazione della grande e propedeutica legge di Renzi: volere è potere.
Senonché, mentre quanto a volontà Renzi abbonda, è sul potere che difetta. Potrà promettere anche l’impero, ma in un sistema democratico i numeri sono incoercibili non meno della coerenza delle alleanze di maggioranza secondo linee ideologiche condivise. Ora, che Renzi dialoghi, tratti e concluda cobelligerando con il nemico numero uno, il Berlusconi che solo qualche mese fa disse che non avrebbe mai riconosciuto nemmeno come interlocutore, è legittimo quando un patto scellerato del genere serva al bene del Paese, perché tali alleanze si stringono fuori dal parlamento e se snaturano il principio degli opposti schieramenti si traducono in intese che niente hanno di deprecabile se non la loro durata. Ma se patti simili si stabiliscono tra forze antitetiche che rispondono a valori e principi alternativi, com’è tra Pd e Ncd, e il compromesso non è più uno storico accordo di maggioranza che esclude comuni responsabilità di governo, come al tempo di Berlinguer, allora un premier lanciato all’assalto rischia di trovarsi su un brocco e di essere disarcionato da quello che credeva un purosangue. Insomma l’equazione è questa: un buon fantino ha bisogno per vincere di un ottimo cavallo, così come Renzi ha bisogno di numeri e di alleanze omogenee per governare. 
La sua alleanza con Alfano non è che una mesaillance e il suo rapporto con Berlusconi una relazione clandestina. L’amore vero, naturale, vagheggiato sarebbe stato quello con Grillo, che però concepisce la veste di rottamatore non nel senso di restauratore alla Renzi, che ha rimesso in altro modo insieme i cocci di Letta, ma di demolitore alla Bossi vecchio conio. Del resto Grillo ha senso nell’attuale stato di cose se continua a mettersi contro tutti. E’ nato per questo, ancorché i suoi deputati e molti suoi elettori lo giudichino contraddittorio, richiedendo in lui ciò che lui non può dare perché altrimenti muore: la compartecipazione, detta altrimenti responsabilità. 
Grillo è nato infatti per rottamare e lo sta facendo. Anche Renzi è nato - prima per giunta - per rottamare ma ha solo dimostrato il teorema di Merleau Ponty: le rivoluzioni sono vere come movimenti e false come istituzioni perché non possono essere mai, come regime istituito, ciò che erano prima come movimento. Smettendo la tuta di rottamatore e indossando l’abito scuro del primo ministro Renzi ha necessariamente smesso di smontare pezzi e si è trovato a rimontarli, con tutte le incognite, le difficoltà e gli aggiustamenti del caso. Ciò che Grillo vuole a tutti i costi evitare. 
Ma ora il suo problema, inaspettato, repentino, sorprendente, quasi alle spalle, è di competere con il suo doppio in un duello all’ultimo voto: se Renzi si rivelerà dotato davvero della bacchetta magica (ma dovrà poi spiegare perché, se tutto risulterà facile o possibile il suo Pd è fallito), Grillo non avrà più ragione di esistere perché gli italiani avranno avuto il loro profeta diventato addirittura Merlino. Se Renzi invece cadrà rovinosamente da cavallo e fallirà tutti i suoi numeri di prestigiatore, scendendo dalla ribalta, allora Renzi avrà motivo di continuare la sua crociata iconoclastica cercandosi un nuovo nemico da sfidare: perché solo avendo sempre un nemico acerrimo Grillo potrà restare in lizza. Molti nemici, molta energia. Il suo destino di comico è di fare piangere. Per questo espelle a getto continuo suoi parlamentari propensi a sporcarsi le mani: perché non capiscono che ogni passo avanti verso la compartecipazione si traduce in un passo indietro verso l'annullamento. L'integralismo è l'imperativo salvavita dei grillini. Se toccano il palazzo muoiono. E questo Grillo lo sa benissimo.
E' arrivato dal niente per demolire Berlusconi e i suoi palazzi, poi ha tirato pietre contro Bersani e le sue schiere, finché non ha trovato sulla sua strada Renzi, spuntato come Minerva già armato e fin troppo somigliante a se stesso perché vestito allo stesso modo da rottamatore. E lo ha riconosciuto come il Doppelganger capace di annientarlo. Di qui l'ultima sfida e l'incontro durato il tempo di qualche insulto e della consegna della dichiarazione di guerra: in diretta streaming perché si sapesse che lui è contro anche e addirittura il suo doppio, il suo fratellastro di fede falciante che da incendiario è diventato pompiere.