lunedì 28 aprile 2014

Alves eroe per caso, anzi per sete


Se invece che una banana fosse piovuta in campo una mela, Dani Alves l’avrebbe ugualmente raccolta e mangiata? Supponiamo di sì, pur trattandosi di un'ipotesi del tutto improbabile perché il calciatore non avrebbe avuto tempo per sbucciarla e ne avrebbe avuto bisogno di più per masticarla.
In quel caso la mela addentata dal terzino del Barcellona sarebbe stata vista dal mondo come un’istigazione a peccare o, di rovescio, come un appello a tenersi innocenti o magari ad avvicinarsi al Cielo, così come aver inghiottito la banana è stato un gesto considerato antirazzista e inscenato in risposta ai cori sugli spalti, che però non erano certamente diretti a lui? E se i tifosi avessero lanciato un fico e Alves lo avesse, con più facilità, ingoiato, avremmo tutti plaudito al pudore oppure avremmo trovato significati più reconditi e cochon, che invece, vedendo la più eloquente banana, ci sono sfuggiti?
Per qualche processo di interpretazione collettiva automatica e simultanea, vedendo Alves in televisione raccogliere una banana, sbucciarla, mangiarla e tirare il corner ci ha fatto subito pensare a un magnifico simbolo anti-buuuu, intenzionale e deciso nel giro di qualche secondo perché avesse proprio quel significato. Ma se rivediamo con attenzione le immagini, l’intenzionalità di Alves associata all’idea di rispondere con un gesto irrituale agli spalti appare piuttosto un istintivo, spontaneo e opportunistico modo trovato dal giocatore di rianimarsi: trattandosi di una banana, ricca di potassio e soprattutto da poter mettere in bocca velocemente e senza il rischio che fosse sporca dovendo essere sbucciata. In sostanza Alves ha fatto come un ciclista che si veda lanciata una bottiglietta di acqua da una curva. Un comportamento irregolare e sanzionabile, tanto che il guardalinee comunica interfono all’arbitro quanto il giocatore sta facendo e non dovrebbe fare. 
Lo stesso assistente si sarebbe astenuto dal “denunciare” Alves all’arbitro se avesse capito, come in quell’istante ha invece creduto di capire il mondo intero, che il calciatore intendeva rintuzzare i tifosi. E lo avrebbe senz’altro capito nel solo caso in cui Alves avesse raccolto la banana, l’avesse sbucciata e, rivolto ai tifosi, l’avesse messa platealmente in bocca. Invece ha fatto tutto come di nascosto e molto rapidamente: ha preso la banana e l’ha sbucciata nello stesso tempo in cui prendeva la rincorsa per calciare arrivando poi a metterla in bocca quando già tirava il pallone. Le immagini sono chiare e se un’interpretazione favoriva non era quella della scimmia ma, lì per lì, quella del macho. 
Alves, brasiliano, non aveva alcun motivo né ragione per rispondere ai cori razzisti in nome altrui o proprio. Né è ipotizzabile che concentrato a calciare un corner in un momento in cui la sua squadra era in svantaggio, trovano a terra una banana elaborasse in un attimo un triplo processo mentale: vedere in essa la metafora della scimmia, trasferire la metafora della scimmia nella questione razziale e mangiare la banana per dire “sono una scimmia anche io”. Più facile immaginare invece che vedendo la banana Alves abbia pensato di rinfrancarsi nel momento in cui gli era permesso farlo dovendo tutti aspettare che tirasse il calcio d’angolo ed il gioco era quindi fermo.
Il mondo tutto, esaltato da editoriali, fondi, commenti e corsivi ispirati al bel gesto immediatamente copiato come in un rito esorcistico non per ultimo da Matteo Renzi, ha preferito dare un significato corretto al bisogno di potassio di Alves, forse cogliendo appieno il piano del tifoso che s’era portato appresso quella ed altre banane al preciso scopo di sbertucciare i giocatori avversari di colore ed ha ottenuto che venisse dalla società espulso e allontanato per sempre. 
Ben fatto e universalmente condiviso oltre che oggettivamente condivisibile: al punto che forse lo stesso Alves si è subito persuaso che a indurlo al bel gesto è stato senz’altro il suo spirito no razism. Altro che voglia di una succosa e dissetante banana. Temeva, fossero stati altri tempi meno politicamente corretti, un provvedimento punitivo e invece si è trovato eroe per caso, anzi per sete.