martedì 5 agosto 2014

Bronzi: il velo sì, il tanga no

Bruneau (in ginocchio) con il suo team nella sala dei Bronzi. Da soli
Un Bronzo velato è bellissimo. Un Bronzo con tanga e foulard è una porcata. Questa l'opinione della sovrintendente del Museo di Reggio Calabria Simonetta Bonomi. La quale, se avesse saputo bene chi è Gerald Bruneau, quantomeno non lo avrebbe lasciato solo, perché era ovvio che provasse a truccare i suoi Bronzi. Lo ha sempre fatto con ogni statua.
Parlando ai giornalisti la Bonomi racconta di avere ospitato il celebre ritrattista e di averne lodato gli scatti che mostravano uno dei Bronzi di Riace con un lungo velo che scendeva dal capo avvolgendolo fino ai piedi come un grande manto. Poi dice di averlo lasciato solo con i suoi collaboratori diffidandolo però a non usare il boa fucsia che aveva visto tra gli attrezzi e senza preoccuparsi di incaricare un custode di tenerlo d'occhio. Quindi è stata chiamata di gran corsa dagli addetti impegnati con i visitatori (evidentemente non incollati ai Bronzi) e ha visto come era stato "vestito" uno dei guerrieri greci: di un perizoma, di un sottile foulard frou frou e del velo di prima.
Avendo visto il solo velo, com'è che non ha capito che l'uomo macho velato adombrava un omosessuale, il cui trucco le è apparso evidente solo con gli altri accessori? Cosa pensava che potesse significare un velo bianco da sposa, del tutto dissonante addosso a un uomo di tutta virilità, da manifestare all'autore il suo vivo apprezzamento? E poi: perché un velo di un kitsch manifesto, la cifra stilistica e ricercata di Bruneau, dovrebbe apparire artistico mentre un boa al collo e un tanga all'inguine soltanto volgari? Era evidente che il ritrattista intendeva riportare la natura dei Bronzi alla cultura non omofoba del loro tempo e denunciare il clima di disagio e l'orgoglio che distingue, come due tensioni, la coscienza omosessuale. 
Niente di cui scandalizzarsi, dal momento peraltro che i Bronzi non sono stati deturpati e considerato anche che qualunque quindicenne avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato di Bruneau passando le foto dei Bronzi su photoshop. Trattandosi di un artista internazionale, Bruneau ha preferito la sua macchina fotografica al mouse, nel proposito di documentare dal vero la sua denuncia e di lasciare traccia del suo passaggio. Di qui la collera della Bonomi, che deve incolpare solo la sua superficialità e il suo candore e che però è riuscita ad aguzzare l'ingegno ricostruendo il retroscena.
Ha ragione infatti lei quando dice che le foto, scattate in inverno, sono apparse solo ora - e per giunta in un sito ad hoc, il Dagospia di Roberto D'Agostino - perché Vittorio Sgarbi ha chiesto che i Bronzi siano trasferiti all'Expo di Milano incassando anche il suo no. Che Sgarbi abbia potuto convincere D'Agostino, dimenticando entrambi lo schiaffo in pubblico di questo a quello, a pubblicare le foto di Bruneau, tutt'e tre teste legate insieme dalla stessa corda pazza, non è ipotesi priva di fondamento. Ma va presa con spirito, sapendo chi sono e visto che è estate, la stagione delle notizie ubriache. Invece la Bonomi parla di porcata e minaccia addirittura di chiedere al fotografo di pagare i diritti d'immagine. Altro errore: avrebbe dovuto fargli pagare, insieme col biglietto d'ingresso, al momento della autorizzazione da lei incredibilmente concessa a fotografare i guerrieri. Non soddisfatta, minaccia di chiedere a Bruneau anche un risarcimento danni. Tutto da ridere. 
Intanto però, se venisse sollevata dall'incarico, forse i Bronzi, certamente incazzati come Traci per essere stati presi per gay, sarebbero i primi a ringraziare. Perché il rischio è che i più vispi buontemponi del mondo vadano adesso a Reggio per divertirsi con i Bronzi. Basterà loro sventolare un velo per ingraziarsi la sovrintendente e poi, lasciati soli con le statue, fargliene di tutti i colori.