Il rifiuto di Crocetta ad accordare, innanzitutto ai partiti che lo hanno eletto, Pd e Udc, un rimpasto che sia politico risponde, per sua ammissione, all'intento di non avere politici in giunta che non possa controllare.
Da un lato perciò il governatore vuole tenere distanti i partiti e da un altro vuole il dominio totale del governo: una virtù e una colpa insieme. Una virtù perché la legge sull'elezione diretta intende rompere appunto il cordone ombelicale tra eletto e partito di elezione, così neutralizzando il nefasto potere di influenza della segreteria sull'istituzione. Una colpa perché l'autoritarismo alla Renzi minaccia sempre di tradursi in dispotismo. Accentrando su di sé ogni potere e funzione (al punto di avere assessori regionali che non mettono la firma nemmeno su una ricevuta di raccomandata senza il suo permesso) col nominare assessori persone fidatissime ma senza la minima esperienza né cultura e col giostrare dirigenti e funzionari oin un frenetico formicolaio per comporre uno scacchiere amico, una corte insomma, Crocetta sembra avere finalmente rivelato il tipo di rivoluzione che aveva annunciato: una presa di potere che nulla, proprio nulla, ha di diverso da quello di Raffaele Lombardo, che vedeva il mondo siciliano diviso in due, quello a lui vicino e l'altro a lui lontano, agendo come se esistesse solo il primo.
E' di ogni sindaco o presidente della Provincia, come di un presidente del Consiglio e di un governatore, tentare di appellarsi al popolo dal quale sono stati eletti ritenendo i partiti delle macchine adibite alla ricerca del loro consenso. Il caso di Renzi, come prima di Fini, di appropriarsi del partito e quindi ricoprire cariche istituzionali, cosa che dovrebbe oggettivamente considerarsi del tutto incompatibile e mai usata addirittura nemmeno nella Dc, ma di craxiana memoria e lezione, dimostra che chi controlla il partito di maggioranza governa meglio rispetto a chi è al governo a dispetto del partito. Come Berlusconi che, di fronte agli attacchi dell'opposizione, chiamava il popolo a fargli da unico e legittimo garante, minacciando le elezioni in presenza di ulteriori pressioni politiche, così anche Crocetta invoca il suffragio a suo favore (dimenticando che la sua elezione fu frutto di un assist di Micciché e Lombardo che lasciarono solo Musumeci, essendo la Sicilia reale molto più conservatrice di quella legale e "rivoluzionaria" che oggi esprime la Giunta di governo) e pretende di tenere a distanza i partiti che lo sostengono perché non contaminino, rectius: contrastino, la sua formidabile marcia di cambiamento della Sicilia. Che però chiunque può vedere andare indietro anziché avanti.
Si dimostra che purtroppo, rimanendo inalterati i meccanismi legislativi, l'elezione diretta ha semplicemente reso l'ingerenza della politica nell'amministrazione più subdola e lenta, più portata alla congiura sotterranea che al pronunciamento esplicito, più sfacciata nel disegno di camuffare (arte sublime della prima repubblica) una sete di poltrone in offerta di assunzione di responsabilità.
Si dimostra altresì che Crocetta può vincere, malamente, qualche battaglia ancora, com'è stato per il Bilancio, ma non potrà mai vincere la guerra contro la partitocrazia, del cui giro fa parte anche il suo Megafono con i suoi assessori in pectore e la sua nomenklatura riciclata e di uguale conio corrente. Prima o poi dovrà accettare che le riforme serbate nel cassetto potranno essere possibili solo in presenza di una maggioranza larga e condivisa, ciò che significa esonerare alcuni assessori fatti in casa e accoglierne altri di altrui produzione. Il che significherebbe passare da governatore e notaio.
Dovrà prima o poi capire che, se è vero che agitare da lontano ai partiti lo spauracchio di nuove elezioni sortisce in loro un effetto deterrente ancorché di breve durata, è anche vero, anzi più vero, che i partiti possono imbrigliare - oggi come ieri - qualsiasi azione di governo paralizzando l'ente con il risultato di fare ricadere sul suo primo reggitore ogni responsabilità. E' quanto sta succedendo. Mentre il cerchio attorno a Crocetta si va restringendo sempre più, il governatore voluto dalla minoranza reale dei siciliani e dalla minoranza dei partiti al suo fianco, va riscoprendo che un conto è amministrare Gela o fare il cerimoniere a Bruxelles e un altro gestire un apparato elefantiaco e bizantino come Palazzo d'Orleans brandendo soltanto un'arma arma che non fa più impressione su nessuno: la sua diversità, articolata nei gusti sessuali e nella lotta alla mafia. Ai primi viene prestata un'attenzione non maggiore che ai suoi capelli sempre tinti di nero vintage, alla seconda è stata messa fine come alla predica di San Paolo all'Aeropago, dove la gente andò via sbadigliando quando cominciò a parlare di resurrezione.