Siamo il Paese che più si indigna se un calciatore africano viene ricordato per le banane ma quello che ha introdotto la legge Bossi-Fini contro i clandestini e più si sfoga negli stadi contro i neri, anche quando sono italianissimi come Balotelli.
Siamo il Paese della ipocrisia assoluta. Gridiamo "no al razzismo" e inalberiamo striscioni negli stadi, ma poi lanciamo buuu anche ai meticci. E mentre ci appelliamo all'Europa e al Nord Africa per liberarci della gestione dell'immigrazione sorridiamo al papa che accarezza un negretto. Siamo il Paese che tollera gli omosessuali, fino a permettere che se ne facciano, come il governatore siciliano Crocetta, un alibi e un privilegio, ma che non ne vorrebbe uno nella cerchia familiare e cambia canale per non spiegarli ai bambini.
Il caso di Carlo Tavecchio è una cartina di tornasole se non fosse un documento di tornaconto: chi non lo vuole al posto del fallimentare Abete non crede ancora alle proprie orecchie della grazia ricevuta dal cielo ad averlo sentito dire di Optì Pobà che prima mangiava banane e ora gioca nella Lazio. Una battutaccia o poco meno. Niente in confronto a quella di Berlusconi al presidente degli Stati Uniti Obama col quale si complimentò ferocemente per la sua abbronzatura. Niente al confronto della persecuzione sistematica di decine di migliaia di persone nei confronti di Balotelli, colpevole di essere un'eccezione mai vista, cioè un italiano tutto negro. Niente in confronto a migliaia di genitori che ritirano i loro figli dalle scuole dove la presenza di stranieri sia prevalente.
Eppure Tavecchio, che è vecchio, ignorante, pluricondannato per reati di evasione e frode, ed è pure antipatico con quella faccia da prete spogliato, è stato messo alla gogna e accusato di razzismo con la richiesta di interdizione all'esercizio della presidenza della Federcalcio. Come se possa esserci un legame diretto tra capo della Figc e giudizio personale sulla differenza di razza: quasi che un vertice del calcio nazionale debba essere un militante di Amnesty e non possa essere iscritto alla Lega, o nel suo tinello non possa continuare, vedendo Optì Pobà in televisione, non dargli del bananaro.
Siamo ipocriti, ecco tutto. Volendo fare fuori il potentissimo e favoritissimo Tavecchio, che poco ha fatto in verità per aiutarsi, i mestatori benpensanti del calcio, i padroni della palla, hanno trovato gravissimo il suo commento su Pobà quando avrebbe dovuto semmai essere Lotito, patron della Lazio (che però è il suo primo mentore), a risentirsi per l'accostamento gratuito tra banane e aquila. E hanno giustificato con gravità la preoccupazione per un Tavecchio capo della Figc ventilando l'eventualità per nulla remota, anzi molto prossima, della chiusura di una tribuna per cori razzisti: caso nel quale tutti guarderebbero in tralice Tavecchio additandolo allo sprezzo nazionale. Come imputare tutti gli incidenti stradali in Italia ad Agnelli perché governa la Fiat.
Siamo ipocriti e non ce ne vergogniamo, pronti a sentire le ragioni del lupo prima di soccorrere l'agnello sbranato. Tavecchio, che giustamente, avendo imparato da Berlusconi e dalle sue traversie, ora grida "Non mollo", si sarà pentito di aver sventolato banane in pubblico ma certamente si sarà in cuor suo raffermato nel convincimento di essere nel vero: ancor più, potendo aggiungere, che chi mangiava prima banane oggi gioca nella Lazio e ha un Paese lesto a lisciare la sua pelle nei giorni feriali e a fargliela la domenica. Ed è meglio che se ne stia zitto il cattivo Tavecchio: perché così finisce che perde non solo la federazione dei dilettanti ma pure tutti milioni che i campi sintetici, sua mirabile invenzione, gli procurano.