Uno spot pubblicitario è tanto più riuscito quanto più a riesce a cogliere un carattere comune o meglio uno sfaglio. In questo periodo due marchi di auto hanno utilizzato il tema della famiglia per reclamare nuovi modelli.
Entrambe hanno riunito genitori e figli piccoli dentro un abitacolo in una specie di festa per la nuova auto. Ma nel primo spot i figlioletti, ovviamente una coppia, assistono compenetrati al bacio che si scambiano papà e mamma, mentre nell'altro il bambino prova ad aprire lo sportello per uscire e la bambina esprime il suo disgusto con un suono di gola. E' questo secondo spot che coglie il carattere nazionale degli italiani, la verità del momento, con uno sketch inteso a dare delle giovanissimi generazioni una rappresentazione che prende le distanze dalle vecchie. Nel primo spot i bambini si identificano con i genitori e si immaginano al loro posto, nel secondo si distinguono e scorgono nei genitori uno sfaglio, un gesto impresentabile. Rimane impresso e si rende quindi più efficace il secondo spot perché suscita il riso: non perché la scena sia costruita ma perché è vista come vera. Tanto più fa ridere quanto più appare drammatica nella rottura di modello di famiglia che presenta.
Pirandello spiegò queste dinamiche formulando la definizione del "sentimento del contrario": ridiamo di un fatto drammatico facendo il contrario di quanto la realtà richieda. Fa l'esempio di una persona anziana che cada rovinosamente a terra. Dovremmo compiangerla e dolercene mentre ne ridiamo: non della sua disgrazia ma dell'ilarità del dramma. Il sentimento del contrario è alla base dell'opera di un comico. Il quale è bravo non per le battute, che non sono dopotutto lavoro suo ma degli autori, ma se fa ridere di un fatto serio, raccontandolo però non come un episodio di cui ridere ma di un episodio appunto serio. In sostanza deve indurre nell'ascoltatore il sentimento del contrario. Un comico che rida delle proprie battute non è dunque un comico e non fa ridere se non perché ride lui. Ci fa invece ridere la realtà quando ci viene mostrata nuda. Questa esperienza la fece il regista Salvatore Rosi nell'anteprima del film Salvatore Giuliano che diede nel '62 a Montelepre, il paese del bandito. Gli abitanti che assistettero alla proiezione non fecero che ridere sconcertando Rosi, al quale fu poi spiegato che la reazione non era dovuta al fatto che il suo film fosse divertente ma al fatto che fosse drammatico, così drammatico e così realistico che la gente si riconosceva in esso ridendo di sé per vedersi riprodotti al cinema.
Un comico che ride delle proprie battute e che pure va per la maggiore è Maurizio Crozza. Si compiace di sé, non resiste mai alle sue stesse spiritosaggini e per giunta, imitando Razzi (perché poi solo lui se gran parte dei parlamentari sono ignoranti e forse ancora di più?), cerca di trattenersi rendendosi non simpatico ma ridicolo e odioso perché ci rendiamo conto che la sua satira è malevola: non vuole parodiare Razzi ma deriderlo, che è cosa diversa e che un attore comico non dovrebbe mai fare. Ride lui e quindi ride anche la sua spalla, Andrea Zalone; ridono quanti lo attorniano sulla scena: ridono tutti e perciò non fanno ridere nessuno se non il pubblico presente (ma non nella totalità), solo perché costretto a farlo.
A rendere un comico di teatro e televisione come Crozza un guitto di strada e avanspettacolo è poi io ricorso insistito al linguaggio volgare, nella certezza che la parolaccia fa sempre ridere. Una volta: cioè al tempo di Plauto e dei fescennini romani. Oggi non più perché non si tratta più di un linguaggio proibito, ma del tutto comune. Dire sconcezze per fare ridere è come voler lavare i vetri degli automobilisti contro il loro permesso. Ora, il fatto è che Crozza esagera davvero - e disturba - nell'intercalare ripetute volgarità.
Aggrava infine la sua condizione perché ride degli altri ma non ride mai di sé. Della sua pancia sempre più prominente, del suoi pantaloni sotto la cinghia, della sua testa pelata, della sua giacca troppo stretta sulle spalle, della sua stazza da molosso, della sua cravatta sempre snodata e di colori da Zimbabwe. E una persona che non sia autoironica ma ironizza sugli altri, anche pesantemente, è molto difficile che sia appunto una persona. Certo non è un comico serio, cioè che faccia ridere.
Aggrava infine la sua condizione perché ride degli altri ma non ride mai di sé. Della sua pancia sempre più prominente, del suoi pantaloni sotto la cinghia, della sua testa pelata, della sua giacca troppo stretta sulle spalle, della sua stazza da molosso, della sua cravatta sempre snodata e di colori da Zimbabwe. E una persona che non sia autoironica ma ironizza sugli altri, anche pesantemente, è molto difficile che sia appunto una persona. Certo non è un comico serio, cioè che faccia ridere.