mercoledì 8 giugno 2016

Inda, PInelli-Garozzo: la musica non cambia

Pierfrancesco Pinelli, commissario dell'Inda

Impegnato ad allestire in fretta gli Spettacoli classici, il commissario dell’Inda Pierfrancesco Pinelli si è potuto dedicare ben poco alle questioni che sono state la causa della liquidazione del Consiglio di amministrazione e così si è valso proprio dello stesso apparato interno della fondazione per il quale divampò la rottura tra il presidente Garozzo e il consigliere delegato Pagliaro circa l’opportunità che le dipendenti sotto inchiesta fossero esautorate.
In sostanza l’ha avuta vinta Garozzo, che le dipendenti ha sempre strenuamente difeso, insieme con il suo fido addetto stampa per il quale propose al Cd un contratto triennale che parte del Cda contestò rinfocolando i contrasti. La presenza di Garozzo si è avvertita comunque: l’anno scorso fu lui a inaugurare la stagione con un discorsetto, ovviamente concluso al grido consueto “Viva l’Inda”, mentre quest’anno è stato un suo uomo fidatissimo, Mimmo Contestabile, a fare un discorsetto analogo alla cavea. Contestabile non c’entra niente con l’Inda se non per il fatto che Garozzo l’anno scorso gli assegnò un cospicuo budget pubblicitario per promuovere sulla sua radio gli Spettacoli classici. Pinelli ha lasciato fare, ma in verità non è rimasto del tutto inerme sul fronte del riordino interno. Ha per esempio esonerato la Mascitelli dell’incombenza dei bandi di gara e della pubblicità ed ha contrattualizzato per un anno, fino al 5 febbraio prossimo, un ex collega della Erg, il siracusano Gaetano Licitra, perché si occupi della supervisione del passivo, della gestione del personale e di budgeting, forte della sua pluridecennale esperienza come dirigente dell’amministrazione in Isab.
Dalla Isab Energy, oggi incorporata nella russa Lukoil in Isab, proviene anche Pinelli, che ne è stato l’amministratore delegato ma operando tra Roma e Genova e mai a Priolo dove invece ha prestato servizio fino alla pensione Licitra. Il suo incarico è stato concordato a titolo gratuito, esclusi i rimborsi “debitamente documentati”, voce sotto la quale è facile fare passare qualsiasi emolumento. Ma perché Pinelli lo ha voluto per undici mesi, senza possibilità di rinnovo e di proroga? Se dal 5 febbraio 2017 potrà farne a meno, ritiene forse che Licitra in pochi mesi potrà rimettere a posto tutti gli affari dell’Inda? E perché il commissario ha ritenuto di dotarsi di una risorsa che debba svolgere il lavoro di amministrazione richiesto proprio a lui?
Ancorché la fondazione non versi in una situazione di passivo del tipo di quella dello Stabile di Catania e l’ente sia stato commissariato per questioni di mera incompatibilità personale tra i membri del Cda, Pinelli ha pensato che non bastasse la sua sola figura ad amministrare l’ente e per un anno si è rivolto a un esperto proveniente dal suo stesso mondo economico-finanziario. Che, date le sue competenze tecniche, non ha potuto mettere mano, come nemmeno lo stesso Pinelli, nelle questioni relative alla promozione della stagione. 
Così è mancata, a differenza dell’anno scorso, la presentazione a Roma e soltanto alla vigilia della prima del 13 maggio alcuni giornali regionali hanno dato spazio alle Rappresentazioni, dopo mesi di silenzio pressoché totale. Pinelli e Licitra, occupati ad osservare i conti, stanno trattando l’Inda come se fosse uno stabilimento e non un ente culturale, commettendo lo stesso errore di Lanza Tomasi, che la considerò da sovrintendente un ente essenzialmente lirico. Questa strategia è coincisa con un inatteso calo di interesse dell’opinione pubblica sul “caso Inda”, per cui nessuno si chiede più che sviluppi abbiano avuto, se ne hanno avuto, le quattro inchieste giudiziarie aperte, nella supposizione diffusa che vadano velocemente verso l’archiviazione. 
In riferimento a quella per associazione a delinquere sui finanziamenti regionali, il rigetto da parte del Riesame della richiesta della Procura di attuare “esigenze cautelari” contro le funzionarie Inda e alcuni dirigenti regionali è stato motivato anche sulla base della “estrema confusione che ha caratterizzato, anche sul piano squisitamente amministrativo, la vicenda, costringendo i vari attori a rincorrere normative non sempre di agevole interpretazione e a contenere gli effetti deleteri dei ritardi della macchina burocratica regionale”.
Archiviata può dirsi la querela di Giusto Picone sulla contraffazione della sua firma alla Siae da parte di qualcuno dell’Inda, dopo che da gennaio è il reato di falso è stato derubricato. Un colpo di fortuna, perché le prove erano documentali e perciò la presunta falsificatrice si è avvalsa della facoltà di non rispondere agli inquirenti.