Il supposto sepolcro, in realtà un colombaio |
Perché Siracusa ha fatto così poco per Archimede, il suo figlio più illustre e celebre al mondo? Due scuole, una piazza a suo nome, intitolata solo nel 1878, con una fontana dove lui però non c’è, più una statua installata appena l’anno scorso. Nient’altro.
In 2229 anni è come dire niente. Eppure non sono mancate, anche negli ultimi tempi, le occasioni: dal teatro comunale intestato al catanese Verga allo stadio cui ha dato il nome il campano De Simone, dal palazzo municipale chiamato col nome di uno spagnolo a quello di vetro rimasto innominato. I siracusani hanno pensato a Lo Bello e Pippo Di Natale più che al concittadino che li difese nel 212 dai Romani, riuscendo quasi a batterli se la città non fosse stata tradita. Ed ecco il punto.
Un remotissimo retaggio fatto di avversione e risentimento popolare impedisce ai siracusani di tributare ad Archimede il massimo onore? Il fatto che, grazie allo scienziato, Marcello dovette attendere mesi per prendere la città ha segnato forse la coscienza siracusana come un marchio genetico? Già Serafino Privitera riferisce che la resistenza opposta, costata molte vite nelle schiere nemiche e molti sforzi economici, valse a convincere il console romano ad autorizzare il saccheggio e rendere tutti schiavi, sebbene il popolo si fosse dichiarato amico, tanto che gli furono aperte le porte.
Cettina Voza, studiosa di archeologia, è del parere che «i siracusani non avranno amato molto l’uomo che in sostanza li ridusse schiavi per potere sopravvivere». In realtà non lo hanno amato affatto. Quando 140 anni dopo la sua morte, Tullio Cicerone si trovò a Siracusa come questore, incaricato quindi di sovrintendere alle finanze e non certo agli sviluppi della scienza, si espresse in due giudizi caustici nei confronti dei siracusani, i migliori della città, allorché riuscì a scoprire la tomba di Archimede. Disse che non l’avevano mai cercata, così pronunciando un giudizio di biasimo, e che era stato necessario che venisse uno da Arpino.
Non era in fondo difficile, sicché come c’era riuscito Cicerone ben più facilmente e con più tempo potevano farcela i “dotti” siracusani se solo avessero messo testa agli stessi versi capitati in mano a Cicerone, secondo i quali in capo al sepolcro di Archimede erano stati posti una sfera e un cilindro su disposizione dello stesso Marcello. Ma i nobili siracusani, che pure accompagnarono il questore nelle sue ricerche, negavano addirittura che la tomba esistesse, volendo fare così credere che l’avessero cercata inutilmente con impegno. Scriverà Cicerone nelle Tusculanae Disputationes: «Osservando con gli occhi tutte le cose - c’è infatti alle porte Agrigentine una grande abbondanza di sepolcri - volsi l’attenzione ad una colonnetta non molto sporgente in fuori da dei cespugli, sulla quale c’era sopra la figura di una sfera e di un cilindro». Se la columella era in qualche modo sporgente come fu impossibile ai siracusani trovarla? Evidentemente non la cercarono. E ciò non fecero perché non volevano che la tomba fosse scoperta, perché Archimede aveva perduto la città con le sue macchine diaboliche e le sue invenzioni non servite ad altro che a fare infuriare i nemici alla fine privi di ogni clemenza.
Marcello pianse la morte del grande geometra e ordinò un funerale degno del suo genio nonché un sepolcro con tanto di epitaffio e ornamenti. Ovviamente partecipò alle esequie tutta la città, perché ci mancava pure che il conquistatore fosse contrariato anche in questo, e dunque tutti vennero a conoscenza della tomba. Che in meno di un secolo e mezzo però scomparve, «cinta con una siepe da ogni lato e vestita da rovi e spineti», come testimonierà Cicerone. Il quale la scopre, ordina che venga ripulita delle sterpaglie e la riconsegna ai siracusani, probabilmente con la raccomandazione di non perderla un’altra volta.
E invece succede che la tomba si eclissa di nuovo. In Le due deche della Historia di Sicilia, libro uscito nel 1573, Tommaso Fazello scriverà: «Di questa sepultura hoggi non pure non ce n’è vestigio alcuno, ma neanche si sa il luogo ove ella fusse», documentando in tal modo di averla cercata e tentato di accertarne l’esistenza.
A complicare la ricerca ha senz’altro contribuito la localizzazione data da Cicerone che scrive di aver cercato “ad portas Agragantinas”, toponimo che sarà tradotto in vari modi: da “agrigentine” a “agregarie” a “segragiane” ad “agrarie” ad “agragiane”, come le chiama Serafino Privitera che scrive nel 1800 e che non dà alcun conto dell’esistenza di quello che non chiama però sepolcro ma monumento, per lui eretto da Marcello alla vista dei passanti e quindi in un luogo ben visibile. E mentre c’è chi indica anche “le porte del Cyane”, agli inizi del Novecento, nell’area di Necropoli Grotticelle, viene dissepolto da Paolo Orsi un cimitero attivo fino in età bizantina nel quale, alla vista di un prezioso colombario romano, la tradizione popolare decide di stabilire la tomba di Archimede, mettendo in essere quella che oggi chiamiamo post-verità: una notizia falsa che si vuole credere vera. La ricchezza della tomba, che risulterà di due secoli più tarda rispetto alla morte di Archimede, con un timpano che ancora oggi fa mostra agli automobilisti di Viale Teracati, fa pensare che lo scienziato avesse meritato un mausoleo così imponente, per cui oggi i turisti sono invitati a fotografare la tomba di Archimede senza sapere di ammirare una cella funeraria di chissà quali patrizi romani.
L’idea piace tanto che per destituirla almeno un po’ occorre aspettare fino al 1965, quando esce il libro di Salvatore Ciancio, La tomba di Archimede, nel quale si dà spazio al ritrovamento di un’altra “colonetta”, stavolta alle porte di Acradina. Ma mancano le prove sufficienti, mentre si fanno strada altre ipotesi. Una porta alla necropoli del Fusco, argomentando che la porta agraria fosse nella zona; un’altra conduce a un cortile attiguo all’Hotel Panorama in Via Necropoli Grotticelle, dove viene scoperto un basamento ricondotto alla tomba di Archimede ma anche a quella di Agatocle.
Rosalba Panvini, sovrintendente di Siracusa, ha ragione di tirare le somme: «Come si fa a dire qual è delle due? Parliamo di una tradizione letteraria che si tramanda da una versione all’altra, ma non abbiamo traccia né dell’una né dell’altra tomba. Del resto, in mancanza di un elemento che porti a un preciso personaggio, una attribuzione vale l’altra. Io non ho scavato e chi ha scavato non ha pubblicato, quindi le ricerche sono ferme al punto in cui sono arrivate».