Tutto merito del raccordo autostradale, dicono, che ha fatto di San Gregorio (un tempo il più scomodo “paese etneo” per chi partisse da Catania e oggi il più ricco della Sicilia) un satellite del capoluogo, certamente il più vicino in macchina e decisamente con la nomea di “dormitorio” per eccellenza dei catanesi.
Che la mattina, tutti alla stessa ora, lasciano le amene plaghe in altura e “scendono” letteralmente a Catania incolonnati - e molte volte imbottigliati - lungo due corsie in pendenza la cui principale caratteristica, oltre alla superba vista panoramica che offrono, è costituita dalle rampe laterali in forte salita dove i Tir sono pregati di deviare se perdono i freni. Come è già successo.
Che la mattina, tutti alla stessa ora, lasciano le amene plaghe in altura e “scendono” letteralmente a Catania incolonnati - e molte volte imbottigliati - lungo due corsie in pendenza la cui principale caratteristica, oltre alla superba vista panoramica che offrono, è costituita dalle rampe laterali in forte salita dove i Tir sono pregati di deviare se perdono i freni. Come è già successo.
Così il raccordo ha dato finalmente una ragione al nome intero del paese, San Gregorio di Catania, e ha segnato in meglio il destino di un centro che era noto ai catanesi per la presenza in peggio di un acrocoro sormontato di antenne televisive e trasmettitori. Il primato nella classifica siciliana dei redditi pro capite, conseguito quest’anno come già nel 2016 (di buona misura, per la verità, ma ottenuto in una gara dopotutto tra poveri), può stupire solo chi si fermi a guardare il paese come appare nelle sue vie primonovecentesche, i vicoli interni angusti e ritorti, le case del centro di un’altra epoca che si aprono su piazze inaspettatamente molto larghe, unite da grandi chiese e da strade simili a imbuti. Un paese che non mostra invero alcun segno di benessere e la vita che si conduce (tutta ristretta nella sghemba piazza principale dove unicamente la gente sembra darsi convegno) non è diversa da quella che nell’hinterland pedemontano. Né la crisi sembra avere un morso più tardo, a stare all’abituale rosario di negozi chiusi e locali in affitto, sicché per vedere un po’ di traffico bisogna andare sulla circonvallazione, sempre ricolma di auto per Catania e l’Acese e perciò indice di una zona che è essenzialmente di transito.
Ma dov’è allora la ricchezza, quella poca che può comunque vantare? San Gregorio ha un doppio fondo di realtà: dietro quella apparente che lo assimila a tutti i paesi siciliani, maschera una presenza diffusa e discreta di una popolazione pressoché invisibile che ha preso la residenza ma non si sente residente. Una popolazione che abita ville appartate, molte delle quali bellissime; condivide la vita di paese lo stretto appena necessario; la domenica si vede in parte in chiesa e il martedì al mercato rionale; e tutto sommato ritiene San Gregorio non altro che uno dei quartieri di Catania, diviso da una strada molto comoda che, a farla di ritorno in perentoria ascensione, dà l’impressione di andare su in collina com’è in una vera città metropolitana che goda dei suoi “castelli”.
Vivere a San Gregorio e figurare di conseguenza tra i suoi contribuenti, determinando la crescita del reddito, è diventato dunque uno status, se non proprio symbol, perlomeno di convenienza, favorito da un’accorta politica amministrativa attenta ad accudire i suoi cittadini-ospiti con ogni accondiscendenza e buona comprensione, indulgente se gran parte dei redditi non resta a San Gregorio né si vede, ma soddisfatta delle soverchie entrate tributarie e forse anche dell’esplicita condizione di isolamento che salvaguarda l’identità comunale. A dare conto con certezza del fenomeno è il sostenuto incremento demografico: Catania va fagocitando inesorabilmente il Comune vicino, ma anziché spogliarlo lo arricchisce e per giunta lo lascia intatto.
Articolo pubblicato il 3 marzo 2017 su la Repubblica di Palermo