I musei, specie se sono all’aperto, si visitano soprattutto d’estate, che è la stagione dei turisti. E in una sorta di museo, altrimenti chiamato sui manifesti “esposizione permanente”, traslocano ad agosto i carri allegorici di Acireale, la città che al “più bel carnevale di Sicilia” ha perciò inteso dare ormai da oltre dieci anni un tocco in più in termini di richiamo rivolto ai forestieri. Fino a domenica e già dal 5 agosto i visitatori possono godere dei giganti di cartapesta arrivati nei primi quattro posti all’ultimo concorso invernale, mutati che sono stati da attrazioni di piazza on the road in opere d’arte altrettanto di piazza en plein air e finalmente compresi, con un’operazione culturale ardita e riuscita, nel genere artistico cui appartengono da sempre i pupi siciliani che un museo ad Acireale già ce l’hanno, anzi due.
Così, a una storica tradizione popolare si è associata a maggior ragione e buon diritto un’altra altrettanto evergreen, quella dei carri. Che, a vederli a quaranta gradi e senza coriandoli per aria, né assediati da trombette e costumi, oggetto di ammirazione più che fonte di animazione, danno l’impressione di dame la cui bellezza sia sfuggita nella concitazione della festa o di complessi manufatti che si offrano al gusto per l’arte interpretata più che al genio della parte rappresentata.
Opere insomma assise in posa, non da vedere passare in traino al pari di colossi assordanti e abbaglianti, ma da contemplare lontano dal frastuono della calca e delle cui fantasie cogliere le sfumature come in un concerto o a una mostra, senza più spintoni né timore di aprire la bocca; o come giustappunto all’opera dei pupi che ad Acireale conserva nella rassegna delle sue marionette tutte le malie dell’epopea. Del resto - pupi o carri - è di mascherine e mascheramenti che parliamo, sicché la Sirenetta in rosso delle locandine che, seduta sul nasone di un Giufà, suona il violino e canta è certamente una serenata che intona in una notte di mezza estate come questa.
In canottiera, pantaloncini e infradito, un gelato anziché lo zucchero filato, i carri che abbiamo visto a febbraio sembrano, nella stessa scenografia barocca, altri e nuovi, con un sapore d’estate che sa di vacanza e solleone il cui effetto è però di addurre una gran voglia che torni presto Carnevale, quello vero, del quale questo è una parodia che dalle officine richiama carri la cui allegoria involge anzichenò una fantasmagoria dove una stagione si traveste di un’altra e la messa in mostra diventa una vera messa in scena.
A esibirsi, rigorosamente da fermo, sono due carri al giorno in alternanza: stanno in fazione uno in Piazza Duomo e l’altro nel vicino Largo XXV Aprile, aspettando la sera quando si animano e illuminano, come grati per essere stati tenuti in vita altri sei mesi e potersi ostentare davanti a un pubblico diverso e più quieto, che abbia occhi per guardarli e non solo per vederli, svelandone i dettagli e i segreti meccanismi, per scoprire alla fine l’effetto che fa un assaggio di Carnevale con l’anguria e la granita.
Articolo uscito il 17 agosto 2017 su la Repubblica-Palermo