sabato 12 luglio 2014

L'ultima luna di Minimario



Non bisogna avercela con i neri per avercela con Balotelli. Basta lui da solo ad attirarsi ogni antipatia. L'ultima di Minimario è il fucile puntato contro l'obiettivo della macchina fotografica (tenuta da qualcuno che non deve essere molto diverso) per mirare a quanti lo odiano: errore di calcolo perché dovrebbe tenere in mano almeno una bomba atomica.
La penultima è la tinteggiatura bionda di una cresta che cambia colore con la frequenza del suo umore. E così sarà fino a quando non deciderà se fare dodici anni schiavo o un beniamino di dodici anni, nel tempo medio della carriera di un calciatore, e se essere uno sporco negro o un italiano di colore. Quel che gli chiedono tutti è solo di essere normale, ma chi si crede eccezionale è difficile che riesca a non apparire anche eccentrico. 

Mettiamo poi la giovane età, la provenienza dal basso, l'inopinata ricchezza e un'ignoranza che se è di tutti i calciatori è sua per proprietà inalienabile ed ecco spiegato un fenomeno costantemente fuori gioco. Anzi fuori scala o fuori classe, con avverbio e sostantivo separati. Un fenomeno che quanto più si consolida tanto più si realizza, come quegli animali esotici che nell'Ottocento venivano portati in giro per l'Europa e che tutti tendevano a scansare per dirne ogni vituperio nello stesso tempo in cui volevano vedere da vicino per farsene meraviglia.
Tre milioni di followers sono una cifra che dà conto di quanti su Twitter (la sua arma di disposizione di massa) lo seguono e ammirano. Eroi del genere inducono facilmente emulazione se è vero che Balotelli ha lasciato le favelas brasiliane brulicanti di crianças con la sua maglia e stampigliato dietro il nome impronunciabile ed evocativo. Ha tutto dello spirito maudit: la carica ribelle, l'aria di perseguitato e oppresso, la smania di libertà e vindice, una certa faccia di brutto anatroccolo e soprattutto una chiara voglia malandrina, molto condivisa, di spaccare il muso al mondo. Non gli hanno nemmeno nuociuto, come fu peraltro per un suo padre putativo come Maradona, le voci di sue collusioni con imprecisati ma non immacolati ambienti malavitosi.
Del resto, così come agli artisti, non è richiesto ai giocatori di condurre vita ascetica e messianica ma solo di fare vincere le partite alla propria squadra. Se poi, fuori dal campo, anziché gli angeli fanno i diavoli, quel che si ha è un incremento del loro credito perché il calcio è visto non come un campionato (una gara di campioni) ma come una contesa che stabilisca vittoriosi e sconfitti e non vincitori e perdenti. Sono dati ormai acquisiti e chi segue il calcio sa bene cosa sia diventato quanto allo spirito di corpo e di scontro.
Balotelli rappresenta il superamento di questa filosofia della contrapposizione che eleva i calciatori a guerrieri e che più cattivi li rende più forti li fa. Per avere cambiato maglia con la stessa velocità e facilità con cui uno zingaro gira città, pronto ad ogni arrivo a dire "volevo essere qui", l'ex Supermario ha proposto una figura di calciatore-mercenario, molto eufemisticamente detto professionista, che considera il tifo al pari del cotone per un produttore della Georgea dell'Ottocento, da non toccare ma da tenere come oro.
Balotelli ha dimostrato un disprezzo totale per i tifosi, come pure per gli allenatori e ultimamente per i compagni di squadra oltre che gli avversari. Sembra odiare il calcio che lo ha portato alle stelle e comportarsi come Margherita Gautier che voleva essere una dama ma sapeva di fare la cortigiana. Sicché la sua visione del calcio corrisponde a quella che ha maturato del mondo. Ne è la metafora come la società per la bella intrattenitrice di Dumas: la giungla perciò dove per trovare il tesoro nascosto occorre farsi strada col machete, da dove cercare di uscire quanto prima con il bottino e dove un applauso del pubblico è un'ingiunzione del tipo di quelle lanciate ai gladiatori di continuare a uccidere. Se è così, è ben ipotizzabile che non sia Balotelli a disprezzare il calcio ma, al contrario, che sia il calcio nel suo complesso a dispregiare Balotelli, colpevole di avere scoperto il grande imbroglio.
Con le sue faccette vampiresche, le grinze burbanzose, le occhiute folgorazioni e quel labiale continuo comprensibile solo con le sue mani agitate e le dita puntate, Balotelli irride e irrita il mondo lasciandosi da esso irretire facendo da genio e contraggenio, veleno e contra, vittima e carnefice. E se in un'epoca priva di veri campioni di calcio anche un mediocre calciatore come Balotelli può apparire più alto di quanto sia, è probabile che perciò venga ricordato come un dropout del calcio, un Prometeo incatenato che abbia sfidato gli dèi, accarezzando il sogno di farsi egli stesso divino ma aprendo infine gli occhi sulla sua condizione irredimibile - e forse irrinunciabile - di insopportabile vagheggino e detestabile frondeur.