domenica 17 agosto 2025

La posizione di stallo intellettuale di Vittorini


Se è pur vero che molte pagine di Conversazione in Sicilia ci sono invecchiate fra le mani, come disse Geno Pampaloni all’indomani della morte; se è anche vero che alla distanza è l’impegno civile, insieme con l’attività editoriale, a primeggiare sull’esperienza letteraria; se ancora è vero che del suo realismo mitico è arrivato fino a noi solo il gravame del lirismo utopistico mentre si è perso per strada il carico delle recensioni della realtà, Elio Vittorini rimane comunque un contemporaneo.
Lo notò lo stesso Pampaloni: «Parlare di lui è anche giudicare noi stessi». Il continuo rimando che operò tra le ragioni della cultura e quelle della politica per il tramite del quadrante della società, nell’intento di introdurre la prima nel vivo della seconda e assegnare alla letteratura il primato; l’osservazione che suggerì di un’Italia contadina pronta a industrializzarsi e la fedeltà che professò fino alla fine allo statuto che egli stesso, con il famoso «Scarico di coscienza», dettò a 21 anni ai giovani scrittori ponendo la vocazione letteraria italiana in una prospettiva decisamente europea, con il coraggio inusitato di rompere il canone consolidato che da Verga a D’Annunzio ai rondisti legava le nostre lettere alla tradizione classicistica e perciò passatista, sono tutti elementi che lo rendono attuale.
A tenerlo nel nostro orizzonte facendone un compagno di vita sono stati il suo rigore morale, la fermezza etica, l’onestà intellettuale, lo spirito nicodemico, la libertà di pensiero che, come notava Romano Luperini, esercitò sia nei giudizi politici che in quelli di critica letteraria. Ci è stato talmente contemporaneo Vittorini da risultare miope e contraddittorio. Miope perché non intuì - come nessuno in quegli anni di fermento - che la trepida istanza giovanile di fronte alle insorgenze luddiste e ai motivi di scontro di classe che il Settentrione andava accampando nelle fabbriche sarebbe sfociata in quel Sessantotto che avrebbe accompagnato nelle università e nelle scuole la contestazione che gli operai stavano per scatenare in piazza; contraddittorio perché, dopo lo scontro con Togliatti, riparò in uno stato di coscienza politica che Asor Rosa ha indentificato in un liberalismo anch’esso corretto alla luce della visione personalissima del mondo.
Di qui la sua posizione di stallo di intellettuale rimasto sempre fuori dalla sua ora, come stagliato in un tempo irreale e irrelato, perciò mitico e infine elegiaco. Come quando a quattordici anni partecipa alla Marcia su Roma ma ne rimane escluso perché il vagone ferroviario nel quale si nasconde viene sganciato in una stazione di campagna.
Nato per perseguire processi di cambiamento, Vittorini vive il fascismo aderendo, diversamente da Brancati e Pirandello, all’accezione di fascismo-aggettivo e non di fascismo-sostantivo, raccogliendo perciò l’ideale rivoluzionario invece della prassi totalitaria e dandone prova in quell’apologia della forza che è Il garofano rosso, dove i giovani siracusani cercano il socialismo e trovano il fascismo.
L’ultimo romanzo a cui lavorò è Le città del mondo, dove tenta di tornare alla Sicilia mitica radunando in un vertiginoso e generoso esperimento tutte le polarità della sua vicenda letteraria, e riprovando a ripartire dai risultati mancati di Conversazione in Sicilia: il paese e la città, l’entroterra e la costa, l’antico e il moderno, la civiltà contadina e il processo di modernizzazione, la Sicilia e la Persia-mondo. Un romanzo rimasto come altri incompiuto, a cifra della sua «ambivalenza». Contemporaneo dunque Vittorini, in qualsiasi stagione della sua vita, disorganico come in politica: una volta troppo avanti rispetto alla sua epoca e un’altra forse troppo indietro. Spirito irrequieto, inesausto e insaziato, fece della sua vita - come diceva Calvino - un continuo progetto volgendo ogni illusione in intenzione, non ottenendo alla fine che il frutto di utopie e sogni al quale soltanto il malinteso cresciuto fino ad oggi attorno alla sua figura ha potuto dare carattere di unicità tutto sommato irrisolta, mentre in realtà l’intera sua biografia non fu che una chiave di interpretazione delle generazioni sue coetanee. Una controstoria dell’Italia.