mercoledì 15 ottobre 2025

Se la casa è vita, toglierla è una condanna a morte

 


C’è chi si uccide e chi uccide, ma in entrambi i casi il motivo è la difesa di un bene prezioso quanto la vita: la casa. Chi rinuncia a lottare si suicida e lascia un biglietto, “Non ce la faccio più”; chi invece vuole a qualsiasi costo arrivare fino alla fine, come è successo nel Veronese, ingaggia una battaglia mortale al grido “Muoia Sansone con tutti i filistei”. Se allora la posta è così alta da determinare conseguenze sempre estreme, perché si continua a fare valere una normativa di cui lo sfratto esecutivo, cioè lo sgombero coatto, è la punta violenta e per molti versi disumana? Lo spirito del complesso di leggi anche speciali che disciplinano la materia della locazione deriva dal diritto del locatore o del creditore in caso di mutuo ad avere la disponibilità del proprio immobile o soddisfatte le proprie spettanze. Si tratta di un diritto di proprietà che costituisce un caposaldo del sistema capitalistico nel quale i mezzi di produzione sono tanto più incentivati quanto più la proprietà di essi venga tutelata, compresa quella del mercato immobiliare.
Essendo il nostro un Paese capitalistico, la proprietà privata è vista come un bene intangibile. Per favorirla ancora di più, la Costituzione ha voluto che chiunque possa essere titolare di un bene o di un servizio, così da potere contribuire al mantenimento delle spese generali che in parte sono rivolte a interventi liberali di assistenza (Welfare State). Tali interventi, che nei fatti limitano il diritto assoluto di proprietà, misurano lo spirito di solidarietà umana di uno Stato e quindi di una società civile. Dovrebbero quindi salvaguardare il diritto di proprietà non meno del diritto ancora più garantito e inviolabile alla qualità della vita che, come prevede la Costituzione, comprende quello alla salute, alla personalità, alla dignità umana.
Quando l’articolo 3 dispone che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” stabilisce un principio che però non trova applicazione alcuna nella fattispecie giuridica dello sfratto esecutivo. Che è il braccio violento della legge: non rimuove per niente “gli ostacoli di ordine economico e sociale”, limita libertà e eguaglianza, soffoca lo sviluppo della persona umana ed esclude da ogni partecipazione alla crescita del Paese.
Chi si trova sotto attacco da parte dello Stato, che mobilita ufficiali giudiziari e carabinieri, mandandoli molte volte allo sbaraglio e qualche volte a morire, è un cittadino al quale sono state sottratte non solo le ultime speranze (che pure sono gli ultimi doni degli déi a Pandora rimasti nel suo vaso e non andati dispersi), ma anche gli strumenti per ricominciare, rifarsi la vita per essere uguale agli altri. Lo Stato lo spoglia e lo lascia nudo, ma soprattutto solo di fronte a “ostacoli di ordine economico e sociale” che appaiono insuperabili e per dippiù moltiplicati dal clima di sfavore nato sulla sua persona e dal suo nuovo stato di minorità. Se non ce l’ha fatta la prima volta a fronteggiare le difficoltà economiche che lo hanno travolto, quali speranze può mai avere di riuscirci la seconda?
Se i fratelli veronesi fossero stati sostenuti dallo Stato e messi nelle condizioni di risollevarsi, nella prospettiva comunque certa di non perdere le proprie proprietà, non sarebbero finiti per rischiare un’imputazione di strage ma, facendo saltare casa propria, avrebbero visto aprirsi le porti di un ospedale psichiatrico. Il Welfare State parte dalla presunzione che la casa – e ancora di più la casa che sia anche azienda e costituisca impresa – debba essere considerata un bene fungibile: mandato via da una, chiunque può trovarne un’altra. Insomma, nessuno gli toglie la vita. Ecco il punto. Si tratta di un punto di vista: c’è chi ritiene la casa come una macchina, da poter sostituire con facilità, e chi invece la equipara per importanza alla propria vita per un complesso di valori i più disperati e insindacabili da parte dello Stato. Mentre per il crimine più abominevole, non può esserci alcun giudice che commini la pena di morte, in caso di un debitore che si impunta davanti al precetto, viene con la forza privato della casa: che se per lui è la sua vita, è questa che lo Stato gli toglie.