Così ha dichiarato in televisione il vicepresidente del Consiglio, nonché ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani: «Io credo che il Ponte rappresenterà, quando ci sarà, un punto importante nel trasporto e quindi anche per l’evacuazione, per garantire la sicurezza in caso di attacco da Sud, perché esiste anche il fronte sud della Nato. Quindi bisogna guardare tutto a 360 gradi. Non è soltanto un acquisto di armi la sicurezza, è anche la formazione di militari, è anche la presenza sul territorio, la Guardia di finanza, i Carabinieri… tutto questo è sicurezza. Sono tante le cose che riguardano la sicurezza, quindi se vogliamo veramente realizzare una politica seria per tutelare i cittadini dobbiamo inserire tutto ciò che è indispensabile».Il Ponte sullo Stretto è dunque un’opera indispensabile ai fini della sicurezza generale anche per fronteggiare un attacco alla Nato che verrebbe portato da sud – secondo informazioni riservatissime circa le quali il ministro ha doverosamente osservato il massimo riserbo. Ora, a sud c’è l’Africa, cioè la Libia, derelitta e impotente, oltre che complice italiana, l’Egitto, amico dell’Occidente, e poi la Tunisia e il Marocco, che però non hanno mai fatto nemmeno un gestaccio all’Italia e alla Nato. Restano quindi Malta e Cipro. Davvero il leader di Forza Italia pensa che un attacco possa venire da basi maltesi o cipriote (installate poi da chi?) se non dai governi delle due isole pacifiche e paciose?
Siamo alle comiche pur di fare apparire il Ponte un’opera mandata dal cielo, ancor più se si pensa che possa servire ad evacuare – evidentemente i soli siciliani – da un territorio sotto attacco magari nucleare. Ma allora, chiediamoci un paio d cose: quanti evacuati prevede il piano di Tajani? Dal momento che i siciliani sono quasi cinque milioni, pur solido e grande che sarà, ce la farà il Ponte a sostenere un traffico così pesante e continuo almeno per un paio di mesi? E poi: quali siciliani? Saranno scelti città per città o sarà lanciato il grido “si salvi chi può”?
Giacché un ministro non è un socio del Dopolavoro che può esibirsi in qualsiasi estemporanea e intemerata, ma se parla dice cose che lui e altri del suo cerchio mantico hanno attentamente ponderato, è da credere che sia almeno in bozza un piano che preveda un esodo il cui primo effetto sarà certamente di procurare danni a Messina pari a quelli del 1908. Nel 1981 un piano di evacuazione fu velocemente approntato dalla Protezione civile davanti a una colata lavica che stava per ghermire Randazzo. La popolazione fu messa in allerta, ma per fortuna la lava si fermò perché ebbe pena degli abitanti dopo essersela risa del piano. Che consisteva in un ordine a lasciare il paese. Ed era per giunta un paese di undicimila abitanti.
Tajani chiama questa “politica seria”. Una politica votata alla sicurezza, che – scopriamo ora – non implica il controllo del territorio con l’impiego stanziale di forze dell’ordine, ma la mobilitazione di Finanza, Carabinieri e presumibilmente Polizia in vista di una evacuazione biblica non al passo degli esuli guidati da Mosé ma a tappe forzate, anzi di corsa. Nemmeno Steven Spielberg sarebbe capace di concepire uno scenario simile. Tajani sì: con la sicurezza propria di un ministro che come tale sa il fatto suo e quelli degli altri, che ha chiare le prospettive geopolitiche più o meno future, ma che nulla ha detto sui tempi. Ok, in presenza o nell’imminenza di un attacco da sud alla Nato, il Ponte servirà a evacuare i siciliani, almeno quelli che non sanno nuotare e hanno paura del mare per imbarcarsi. Ma, siccome lo stesso governo prevede che possa essere aperto nel 2032, dobbiamo sperare che l’attacco da sud non avvenga prima.
Speranza però vana a questo punto, perché, dopo aver sentito Tajani, gli oscuri invasori in taccia di invisibili Tartari accampati in attesa per anni di attaccare Forte Bastiani, hanno già pensato sicuramente di accorciare i tempi – sempreché gli equilibri mondiali nei prossimi sette anni non saranno mutati per cui il Ponte, disdicendo i reali e reconditi disegni del governo, si rivelerà un’opera inutile, perché la Nato sarà attaccata, a beffare Tajani, da nord o da est.
Né Salvini né altri come Tajani sanno più quali argomenti escogitare per proclamare la necessità fatale e provvidenziale di un Ponte che è piuttosto diventato un analogo della torre che i perditempo sognatori brancatiani di Gli anni perduti volevano costruire a Catania. Il sogno finì nel nulla perché i giovani utopisti, decisi ad erigere un grandioso monumento alla modernità, dovettero affrontare insuperabili problemi tecnici, di incapacità organizzative e di risorse da reperire che fin troppo da vicino richiamano le vicende che sta vivendo il Ponte di Messina. Brancati fu profetico, conoscendo l’immaginario italiano. Nel 1936 pensò a una torre come prova di grandigia imputabile alle chimere fasciste. Nel 2025 c’è chi pensa a un ponte. Ma sempre di un vitello d’oro da adorare si tratta.