venerdì 17 ottobre 2025

Ranucci, un attentato che vale la medaglia al valore civile


Il riconoscimento maggiore a Sigfrido Ranucci è venuto dai suoi attentatori che ieri sera gli hanno appeso al petto una medaglia al valore civile. Non si compie un attentato esplosivo contro una figura nota che sia anche protetta da una scorta armata se non costituisce una vera minaccia al disordine costituito. L’ordigno rudimentale, che sarebbe stato capace di uccidere se qualcuno si fosse trovato alla sua portata, è stato opera di menti non raffinate ma intimorite. L'annuncio fatto qualche giorno fa dei temi che impegneranno la nuova stagione del programma è stato indicato dallo stesso Ranucci come possibile scaturigine dell'attentato, ma parlare di eolico, banche e sanità non comporta maggiori rischi, a meno che qualche persona sentita da Report nell'ambito di una di queste inchieste non abbia gradito le domande. Ranucci ha parlato di "salto di qualità" (avendo già ricevuto ripetute minacce) e colpendo lui e la sua “squadra speciale”, si è inteso scoraggiare un metodo giornalistico che non piace a nessuno: né se è stato già nel mirino di Report né se teme di finirci prossimamente. Praticamente i sospetti si restringono a un migliaio circa di individui che vedono in Report quanto essi dicono ai loro figli: non si fa.
Si fa invece e per fortuna che si fa. E dà talmente fastidio che persino Aldo Grasso, considerato un esperto di televisione, ha avuto parole di condanna. Evidentemente neppure lui ha capito il peso, l’originalità, la portata e l’importanza di una trasmissione che surclassa tutte le altre dette d’inchiesta e che ingolfano i canali pubblici e privati. Ranucci fa impallidire e arrossire i vari Formigli, Floris, Giletti, Iacono, che amano fare i pavoni affettando coraggio e professionalità, ma contro i quali nessuno getterebbe neppure un fiammifero acceso perché non hanno nulla che possa spaventare qualcuno.
A una distanza stellare viene solo “Le Iene”, il cui maglio colpisce però privati che fanno i monelli o istituzioni periferiche colpevoli di lasciare lavori a metà. I grossi gangli del malaffare e della delinquenza che si ramificano fino ai massimi apparati politici anche internazionali non sono nemmeno sfiorati. Solo Report mostra come dare al giornalismo d’inchiesta un significato che nella tradizione italiana rimanda alle esperienze anni Settanta di “L’Espresso” formato lenzuolo, ma con gli effetti della televisione Lo spirito che anima Report è lo stesso che mosse i giornalisti del “Washington Post” nell’affare Nixon e molto più in piccolo I Siciliani di Giuseppe Fava.
Il paradosso di Report è di essere una trasmissione prodotta e trasmessa dalla Rai, forse quella che più la vede come fumo negli occhi e sicuramente quella dove Ranucci ha i peggiori nemici. Il solo programma di tutti i tempi di cui il servizio pubblico televisivo dovrebbe andare fiero è lo stesso del quale invece si vergogna, il solo che sia continuo oggetto di interesse da parte del Parlamento e ogni anno messo in discussione se sopprimerlo o meno. Ora da tutte le parti piovano su Ranucci, come lingue di un Spirito santo, attestati di solidarietà e apprezzamento, incentivi a non mollare e sostegno morale. E probabilmente chi esecra oggi magari ieri ha dato lo sta bene al tentativo di fargli capire che deve cambiare o strada o aria.
Ovvio che Ranucci si sentirà più motivato a rimanere dov’è. Ed è probabilissimo che nella redazione di Report sia avvenuto quanto si ebbe in quella de I Siciliani, dove Fava, dopo le nuove minacce di morte, chiese ai suoi “Che facciamo?” ed ebbe per risposta la sola possibile: “Quello che dobbiamo fare”.
Il giornalismo come dovere morale, la coscienza civile come ridotto irto a fronteggiare i tartari: non c’è altra strada se non quella di continuare a rendersi testimoni a conoscenza dei misfatti. Ma si spera che basti una sola medaglia al valore.